sabato 10 aprile 2010

Chi può battere Silvio


di Marco Damilano

Dopo la sconfitta alle regionali, nel centrosinistra si apre la caccia al leader per la sfida elettorale del 2013. Un sondaggio esclusivo tra gli elettori su sette possibili candidati

La Grande Partita è cominciata un istante dopo la chiusura delle urne, appena acquisito l'ultimo risultato delle elezioni regionali. Ognuno si organizza come può e come sa. Con le armi convenzionali, mettendo in campo la forza di un partito tradizionale. Con gli strumenti offerti dai tempi nuovi: fondazioni, associazioni, think tank trasversali, comitati elettorali mascherati da fabbriche. Molto Internet: blog, circoli su Facebook, appelli su YouTube. E la cara, vecchia politica delle alleanze: annusare i potenziali sostenitori senza darlo troppo a vedere. La posta in gioco è semplice: chi guiderà il centrosinistra nella sfida contro Silvio Berlusconi nel 2013, quando il Cavaliere si candiderà a palazzo Chigi per la sesta volta consecutiva dal 1994, sempre che non riesca a trasformare l'Italia in una Repubblica presidenziale e provi a fare rotta sul Quirinale a furor di popolo?

RISULTATI DEL SONDAGGIO: Chi può sfidare Berlusconi?

Dovrebbe essere una questione da abc della politica: prepararsi per tempo, costruire una candidatura vincente con il giusto tempo a disposizione, come succede in tutte le democrazie occidentali. In Francia il nuovo inquilino dell'Eliseo sarà scelto nel 2012, ma le manovre nella gauche per indicare il candidato da contrapporre a Nicolas Sarkozy sono già in pieno svolgimento, come se si votasse domani. In Inghilterra il 6 maggio il povero David Cameron finalmente potrà affrontare il Labour Party nelle elezioni legislative dopo essersi allenato per cinque, interminabili anni: è stato nominato candidato dei conservatori a Downing Street nel 2005, quando era una giovane promessa, nell'attesa ha fatto i capelli bianchi. In Italia le liturgie sono più complesse e meno trasparenti. E per capire la strategia dei Presidenziabili, i potenziali candidati, bisogna imbarcarsi in giri tortuosi.

L'unico che prende di petto la questione è il leader di Italia dei Valori Antonio Di Pietro: "Alle elezioni regionali siamo arrivati all'ultimo giorno utile. In molti casi i candidati del centrosinistra erano improvvisati e il risultato si è visto: il partito più forte è diventato quello dell'astensione e della protesta. Non possiamo ripetere l'errore: io, Bersani, Vendola e gli altri leader della coalizione dobbiamo trovare un nome entro quest'anno, proporlo al Paese e farlo crescere. Se non si semina per tempo non si raccoglie". Nel Pd condivide l'urgenza il vice-segretario Enrico Letta, a lungo indicato tra i papabili: "Una cosa è chiara: nel 2013 il nostro avversario sarà ancora una volta Berlusconi. Le formule del passato non bastano più, dobbiamo ripensare le nostre alleanze e ritrovare lo spirito che portò il centrosinistra al governo guidato da uomini come Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, fino alle regionali il numero uno nella lista dei possibili candidati premier, dopo il voto non certo esaltante per il suo partito si è fatto prudente: "Per il futuro non posso escludere nulla". Schermaglie che nascondono l'incertezza. E che la confusione nel campo del centrosinistra sia grande lo dimostra anche il sondaggio "L'espresso-Swg" pubblicato in queste pagine.

Alla domanda su quale nome potrebbe battere Berlusconi, il 18 per cento indica il presidente della Fiat Luca Cordero di Montezemolo, considerato il più attrezzato a intercettare una parte dell'elettorato che oggi si riconosce nel centrodestra, il preferito nelle fasce di età più anziane, over 65. Solo l'11 per cento vede come sfidante Bersani, tallonato dal rieletto presidente della Puglia Nichi Vendola: se votassero solo gli elettori del centrosinistra, come potrebbe accadere se il candidato premier fosse scelto con le primarie, la partita sarebbe tra loro due. Segue a poca distanza un nome a sorpresa, il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi. E poi il comico Beppe Grillo, che nelle regioni dove si è presentato con il suo Movimento a cinque stelle è stata la vera rivelazione delle regionali, la pasionaria del Pd Rosy Bindi, in pole position tra le donne del centrosinistra e lo scrittore di "Gomorra" Roberto Saviano, i cui appelli per la legalità fanno sempre il pieno di sostenitori. Una classifica che dimostra soprattutto il senso di spaesamento che abita tra gli elettori. Il dato più interessante da registrare, infatti, è che per un terzo del campione, il 33 per cento, nessuno di questi nomi è quello giusto: bisogna cercare ancora. Il leader, insomma, non si vede, non c'è.

Eppure alcuni dei candidati in pectore sono già da tempo in movimento. Il più imperscrutabile è il numero uno della lista, Cordero di Montezemolo. Il suo impegno diretto in politica è sempre stato escluso, ma intanto da sei mesi l'ex presidente di Confindustria gira l'Italia per le iniziative della sua associazione Italia Futura. Convegno d'esordio a Roma, nella cornice di palazzo Colonna, sulla mobilità sociale, parola d'ordine promettente: "L'Italia è un paese bloccato, muoviamoci!". Seconda uscita a Napoli, su scuola e istruzione. Prossima tappa a Bologna, a metà mese, per parlare di sanità. Temi scelti con cura, quasi un programma di governo, che mister Ferrari giura di voler affidare al dibattito pubblico, senza doppi fini: "È possibile parlare di politica senza passare per golpisti?". In mezzo qualche intervista televisiva, rimbrotti ai partiti con strizzate d'occhio all'antipolitica: "L'impopolarità della classe politica sta aumentando, non dobbiamo restare passivi spettatori di quello che sta accadendo: grandi promesse, grandi proclami e poi l'incapacità di fare le riforme. La società civile non può rimanere indifferente", ha tuonato il 19 novembre all'Università Cattolica a Roma. Appelli culminati alla vigilia del voto regionale con gli articoli firmati da Andrea Romano e Carlo Calenda sul sito di Italia Futura, un invito esplicito all'astensione: "Se la politica si trasforma in un cine-panettone, meglio smettere di comprare il biglietto". L'interesse di Montezemolo per la politica non è una novità: se ne parla almeno dal 2007, da quando l'allora presidente di Confindustria nella relazione di fine mandato sparò a zero sulla "casta" dei politici di professione e sul governo Prodi. E il Professore cominciò a sfotterlo: negli incontri a palazzo Chigi lo chiamava "signor Primo ministro". Meno chiaro il progetto: l'idea di proporsi come federatore di un nuovo partito di centro che dovrebbe partire dall'Udc di Pier Ferdinando Casini, passare per Francesco Rutelli e arrivare dalle parti di Gianfranco Fini, è sempre stata più un'ipotesi giornalistica che una realtà ed esce ancora più indebolita dal risultato delle regionali. Ma anche l'ambizione di diventare il perno di un vagheggiato dopo-Berlusconi, deve fare i conti con un problema non trascurabile: il Cavaliere è ancora qui, vivo e vegeto, più forte di prima.

In queste condizioni il Montezemolo tour sembra destinato a durare ancora per un po'. Anche se tra i sostenitori della necessità di trovare un nome esterno ai partiti per la futura candidatura a premier c'è un insospettabile come Di Pietro: "Serve una figura di alto profilo, non possiamo essere né io né Bersani. Una personalità che ridia al paese pacificazione, serenità, fiducia. Che sappia parlare di occupazione, lavoro, sicurezza, ambiente e abbia la professionalità per gestire situazioni e emergenze senza diventare un fantoccio nelle mani dei partiti. Una storia non ideologica". Un identikit che calza perfettamente addosso a Mario Draghi, se non fosse che il governatore di Banca d'Italia non ha nessuna intenzione di farsi coinvolgere nelle beghe politiche, impegnato com'è in una partita molto più delicata e strategica, la difficile corsa per la presidenza della Banca centrale europea dove il sostegno del governo italiano è essenziale. E dunque il candidato fantasma agitato dal leader di Italia dei Valori serve a ottenere un risultato di breve periodo: sbarrare la strada ai nomi che si stanno facendo avanti nel centrosinistra. Il governatore della Puglia Vendola, per esempio, nasconde a stento la sua voglia di gareggiare dopo la doppia vittoria, contro Massimo D'Alema e lo stato maggiore del Pd alle primarie e contro il Pdl. Non a caso il più rapido a sondare il potenziale avversario è stato proprio il Cavaliere. Il premier è stato il primo a farsi vivo con il governatore con l'orecchino dopo la rielezione. Il cellulare di Vendola ha squillato di buon mattino. "Nichi, come stai? Complimenti, hai fatto una campagna elettorale eccezionale. E poi, hai visto, non ci siamo mai attaccati sul piano personale... ".

Tra i due la simpatia risale a qualche anno fa, cementata da un intermediario, il fondatore del San Raffaele don Luigi Verzè, amico di entrambi. E Berlusconi riconosce a Vendola alcuni ingredienti che gli sono familiari: il fiuto per il pubblico, le doti di combattente, una biografia anomala. Il fattore leader che Vendola intende mettere a frutto nelle prossime settimane. In Puglia ha sepolto le strutture di partito con l'invenzione della Fabbrica, che da semplice comitato elettorale si sta trasformando in qualcosa di più ambizioso: un modello da esportare in tutta Italia. Una rete di fabbriche di Nichi, da costituire in ogni regione, circoli destinati a trasformarsi al momento opportuno nel motore della candidatura di Vendola alle primarie del centrosinistra. Per ripetere l'operazione già riuscita in Puglia. Spaccare il Pd e trascinare una parte dei suoi quadri a sostenere l'uomo della sinistra radicale che ormai acchiappa consensi anche tra i moderati e perfino tra i dalemiani di strettissima osservanza: "Sono sempre stato dalla sua parte", fa sapere in ogni dove il senatore del Pd Nicola La Torre.

Resta l'incognita Pd. Il convitato di pietra: nessun aspirante candidato alla sfida contro Berlusconi può rinunciare al sostegno del partito più grande, ma lo schema secondo cui spetta al segretario dei Democratici l'indicazione del leader della coalizione è uscito seriamente ammaccato dal voto regionale. Anche perché il partito solido invocato da Bersani in molte zone non si è visto. Nelle due regioni chiave, il Piemonte e il Lazio, l'analisi del voto del Pd è poco confortante. Nella regione espugnata da Roberto Cota gli assessori della giunta Bresso sono stati quasi tutti trombati in modo inglorioso: l'uomo chiave, il potente vice-presidente e assessore al Bilancio Paolo Peveraro ha raggranellato a Torino appena 2300 preferenze, una miseria. A Bussoleno, il comune simbolo del movimento No Tav, il Pd si è fermato al 14 per cento. La metà della lista Grillo che in Val di Susa ha conquistato il 28 e che nel capoluogo ha preso più voti dell'Udc: una beffa, se si pensa agli infiniti tavoli di trattativa di Bersani con i centristi. Nel Lazio, al contrario, sono rientrati in consiglio regionale gli assessori della giunta Marrazzo al gran completo: quindici eletti, tutti uomini, roba da rimpiangere le liste bloccate, che almeno costringono a nominare qualche giovane donna.

Alcuni di loro hanno avuto la bella idea di affiggere un manifesto per ringraziare gli elettori, come se il disastro romano del Pd non li riguardasse: centomila voti in meno nella Capitale rispetto alle europee di un anno fa, addirittura trecentomila in meno rispetto al 2008, consensi dimezzati. Un partito da rifare. In mano ai potentati locali nelle regioni centro-meridionali, senza radici nella società dove ha pure ben governato (vedi Piemonte), in calo nelle tradizionali roccaforti, con l'eccezione della Toscana del signor Enrico Rossi, il trionfo della normalità. E dilaniato dalla ripresa delle ostilità a Roma: i veltroniani in guerra con il segretario, D'Alema insoddisfatto, i quarantenni che scalpitano. Un film già visto, quello che portò in pochi mesi alle dimissioni di Veltroni. Per sfuggire allo stesso destino Bersani ha una sola carta a disposizione: fare il leader, trovare un progetto e magari anche la figura di un candidato premier su cui portare tutto il partito. Ma il nome ancora non c'è, è tutto da inventare. E intanto il presidenzialismo targato Berlusconi-Bossi corre più veloce della maledetta Tav.

(07 aprile 2010)

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