lunedì 26 aprile 2010

Don Antonelli: “Berlusconi, comunione sacrilega”


Riceviamo e pubblichiamo da don Aldo Antonelli in risposta all’articolo di don Paolo Farinella "Comunione ai divorziati: due pesi e due misure?".

di don Aldo Antonelli

Caro Paolo,

leggo la tua lettera al cardinal Bagnasco, presidente della Cei, e al cardinal Bertone, segretario di Stato del Vaticano. La leggo e la sottoscrivo a quattro mani, con lo stesso impegno con il quale si può suonare un pezzo d’opera al pianoforte…; appunto, a quattro mani! Una sinfonia in tonalità minore naturalmente e non per come l’hai scritta, ma per l’oggetto e i destinatari: la comunione sacrilega impartita ad un notorio, impenitente e recidivo ladro internazionale, “corrotto e corruttore” come tu ben dici, da una parte, e, dall’altra, i chierichetti servienti e benedicenti che non si fanno scrupolo di alzare la voce prepotente di condanna con i poveri e con i deboli e modulare farfugliamenti di connivente compiacenza con i ricchi e con i forti.

Un peccato antico quanto il mondo contro il quale il Gesù di Nazaret non ebbe paura di pagare col la sua vita quanto i suoi chierici ben presto ripresero a praticare e benedire.

Un peccato antico e persistente contro il quale non sono mancate le voci di condanna di profeti inascoltati. A cominciare da quella denuncia chiara e tagliente del vescovo Ilario di Poitiers nel quinto secolo che tu conosci bene e finire, ai nostri tempi, con la denuncia del carissimo David Maria Turoldo.

Il primo scriveva parole che oggi mantengono ancor più che nei tempi passati tutta la loro triste attualità: «Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga… Non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro».

David Maria Turoldo, invece, guardando al degradante spettacolo dei nostri vescovi, scriveva: «Pare che i vescovi siano sempre più esposti al farsi prefetti di un impero, oltre che apostoli di una chiesa; il papa sempre più monarca assoluto, oltre che papa… Quella unità che dovrebbe essere un valore sacramentale ed evangelico ("fà che siano una cosa sola…") ecco che diventa una soggezione e una schiavitù; e come, in politica, si va verso l’avvento di un unico governo mondiale, così pare che si imponga anche l’avvento di un imperialismo dello spirito…Tanto più che la chiesa (e le chiese, più o meno) si sono spesso affermate quali forze di conservazione delle strutture e delle forme, anziché offrirsi quali energie rivoluzionarie e liberatrici».

Niente di nuovo sotto il sole quindi, caro Paolo. Ma un motivo in più per non tacere e non restare a guardare.

Ci si vorrebbe ciechi e muti e sordi e noi, invece, vogliamo continuare a tener ben aperti gli occhi e a gridare alto e ascoltare il grido di condanna che da più parti si innalza contro una chiesa saccente ed intrigante, contro una gerarchia ammutinata nei palazzi del potere e schiacciata dentro le logiche dello scambio osceno tra soldi e benedizioni, leggi e protezioni, reverenze e prostituzioni.

Fa parte del DNA della nostra fede aver coscienza che "il popolo cristiano non è un popolo di colli storti"(Bernanos:Diario di un curato di campagna) per cui la critica non è semplicemente figlia minore della disaffezione, ma erede legittima di quell’obbedienza radicale che fa di noi persone poco “affidabili” ai fini di una gestione allegra del potere, sia esso civile che ecclesiale. E facciamo nostro anche il lamento di tanti, anche non credenti che, come il regista Zeffirelli, lamentano nella chiesa la presenza “di saccentini e saccentoni che hanno perso il senso della misura, provocandone l’annebbiamento e la perdita di credibilità".

E a quanti, disorientati, mi chiedono come mai la Curia Vaticana, ai politici cattolici praticanti e osservanti dei comandamenti, preferisce i politici laici, magari puttanieri rispondo con la lapidaria risposta di Raffaele Crovi in “Nerofumo”: «Perché i cattolici praticanti, ritenendosi parte della Chiesa, mettono bocca nelle scelte delle autorità ecclesiastiche, mentre i laici, senza far domande, mettono mano alla borsa».

Ti abbraccio, fratello Paolo.

Aldo Antonelli

Parroco in Antrosano (AQ)

(22 aprile 2010)

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