

Un confronto teso, al di là della retorica di circostanza. Nell'ufficio di presidenza del Pdl Silvio Berlusconi non arretra, non concede nulla ai finiani, se non l'invito a rientrare nei ranghi. Fioccano le accuse di slealtà. "Fini dimentica che quando l'ho fatto presidente della Camera - ha attaccato Berlusconi, rivolto ai finiani presenti - mi aveva garantito che non avrebbe sfruttato la sua carica per fare politica attiva. Ha tradito il patto di fiducia". Italo Bocchino - su cui il presidente della Camera punta come prossimo coordinatore nazionale al posto di La Russa - salta sulla sedia: "Presidente, vogliamo parlare di lealtà? Ti faccio presente che quando si doveva votare sull'arresto di Previti, Fini fece persino spostare il funerale del padre pur di essere presente alla Camera. Ma di che parli?". Ecco, i toni sono questi, anche se in pubblico tutti alla fine loderanno il "clima sereno" del dibattito interno.
Nella sostanza, il Cavaliere resta sulle sue posizioni, convinto di essere nel giusto. In più c'è il timore che il suo avversario si stia attrezzando per un progetto alternativo: "Pensano - ha confidato - di farmi fuori con un governo istituzionale, come nel '95". Sospetti suffragati dalle notizie che gli vengono riferite, quelle di contatti tra Fini e Montezemolo, tra Fini e Casini. Da parte del premier c'è poi la convinzione che ormai quello del presidente della Camera Fini non sia più "un problema politico ma personale". "Io non devo trattare proprio con nessuno - osserva il premier, parlando con i suoi -, l'unica concessione che posso fare è quella di dimenticarmi quello che fatto Fini in questi giorni. Ad una condizione però: se vuole restare si deve rimettere in riga, basta con questo stillicidio".
La linea politica del Pdl non cambierà per Fini, su questo Berlusconi è irremovibile. E del resto può farsi forte della maggioranza degli interventi del vertice Pdl. Raccontano che il più severo contro l'ex leader di An sia stato il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri: "Mi pare che Fini voglia rimettere in discussione le quote del 70-30. Ma quel 30% non è di sua proprietà, rappresenta la storia e soprattutto le idee della destra italiana. Ora mi chiedo: ma sono più di destra io o Fini? Chi rappresenta meglio quell'identità? Fini ha diritto a cambiare idea, io ho diritto a restare di destra". Quanto alla richiesta di rimettere mano agli organigrammi, Gasparri si rivolge a muso duro a Bocchino: "Se uno vuole i posti li deve chiedere apertamente". In soccorso di Gasparri e La Russa interviene anche il Cavaliere: "Fini mi ha chiesto di togliere Gasparri da capogruppo al Senato. Ma Gasparri è stato eletto dai senatori, questa sarebbe la sua concezione della democrazia?". Quanto ai coordinatori nazionali, "squadra che vince non si cambia e il Pdl ha vinto tutte le elezioni da un anno e mezzo a questa parte. Se La Russa non gli va più bene non è certamente un problema mio". Casomai, "dovrei essere io a lamentarmi, visto che la Bongiorno, crea sempre problemi a noi".
Il "Tribunale del Popolo" (della libertà) è pronto a emettere la sentenza di condanna a Fini. I ministri forzisti sono quelli che picchiano come fabbri sul presidente della Camera. Si distingue Sandro Bondi, mentre Franco Frattini ne fa addirittura una questione internazionale: "Il governo Berlusconi sta ribaltando l'immagine dell'Italia nel mondo. Una crisi in questo momento sarebbe all'estero un danno gravissimo". Gianni Alemanno prova invece a mediare: "I problemi che pone non sono inventati. La questione di una maggiore attenzione al Sud, per esempio, è reale. Così come è giusto non dare l'impressione che il governo sia succube di Bossi". Il premier tuttavia non ci sta, contesta in toto la tesi di un governo a trazione leghista. "Ma cosa dite? Tolto Maroni, hanno ministeri di poco peso. E l'unico altro ministero "pesante" che avevano, quello dell'Agricoltura, gliel'abbiamo tolto oggi". Ci provano Ronchi e Urso a sostenere le ragioni del presidente della Camera. "Bisogna lavorare a un'intesa politica forte - sostiene Adolfo Urso - tra i due cofondatori del partito". Nemmeno questa impostazione convince il premier, che diventa sarcastico: "Curiosa questa concezione della democrazia secondo la quale dovremmo decidere tutto solo io e Fini. Invece ci sono gli organi di partito che decidono. Io non ero d'accordo ad aprire all'Udc, non ero d'accordo a candidare la Polverini. Adesso mi aspetto lo stesso atteggiamento leale da chi domani dovesse trovarsi in minoranza". È una resa dei conti senza concessioni. Perché il Cavaliere, a questo punto, si è convinto che la minaccia di Fini sui gruppi parlamentari sia stata nient'altro che "un bluff".
(17 aprile 2010)
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