La Procura: illecite l’avocazione di Why Not e la revoca di Poseidone
di Antonio Massari
L’inchiesta è chiusa e l’ipotesi del complotto resta in piedi: l’avocazione di “Why Not” e la revoca di “Poseidone”, entrambe sottratte all’ex pm napoletano Luigi De Magistris, erano illecite. De Magistris, quindi, avrebbe dovuto continuare a indagare. Lo scrive la Procura di Salerno nell’atto che chiude l’inchiesta: dodici indagati. Più della metà sono nomi eccellenti: il senatore del Pdl Giancarlo Pittelli, ben sei magistrati di Catanzaro, l’ex sottosegretario di governo Giuseppe Galati (Udc). E a questo punto c’è da chiedersi se a Salerno siano impazziti. Oppure se – al contrario – qualcuno, a partire dai componenti del Csm, debba offrire le proprie scuse per aver punito - nell’ordine - Luigi De Magistris, l’ex capo della Procura salernitana Luigi Apicella e i due pm che avevano iniziato l’inchiesta, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani.
Oggi il capo della Procura di Salerno si chiama Franco Roberti, ha diretto per quattro anni la Dda di Napoli, sferrando attacchi durissimi al clan dei Casalesi (e non solo). I pm che hanno concluso l’inchiesta al posto di Nuzzi e Verasani si chiamano Maria Chiara Minerva, Rocco Alfano e Antonio Cantarella. E nell’atto che hanno firmato ipotizzano un reato gravissimo: la corruzione in atti giudiziari. Nella ricostruzione dell’accusa, a beneficiare della revoca di Poseidone – l’inchiesta condotta da De Magistris sull’utilizzo dei fondi pubblici e sull’inquinamento ambientale – furono Pittelli e Galati. Che negli atti, però, non compaiono soltanto come “beneficiari”, ma anche come “istigatori” delle “condotte illecite” dei magistrati Mariano Lombardi e Salvatore Murone, rispettivamente ex capo della Procura di Catanzaro e attuale procuratore aggiunto. Fu Lombardi a revocare l’inchiesta all’ex pm, dopo che questi aveva iscritto nel registro degli indagati Pittelli, senza informare il suo capo, “legato da ventennale amicizia” con il senatore del Pdl. E per questa secretazione – avvenuta con l’atto firmato dal pm e blindato in cassaforte – De Magistris fu anche punito dal Csm. Oggi negli atti si legge che quella scelta fu motivata soltanto da “esigenze investigative”. Al contrario, fu proprio la revoca, eseguita da Lombardi “d’intesa” con Murone, a essere giudicata illecita. La conseguenza: “L’inevitabile stagnazione delle attività istruttorie in corso” così da “favorire le persone implicate nelle indagini, in particolare Pittelli e Galati i quali, in un più ampio contesto corruttivo (…) s’erano adoperati per far ricevere sia a Lombardi, sia suo figlio Pierpaolo Greco (anch’egli indagato, ndr), denaro o altre utilità”. E la corruzione in atti giudiziari compare anche nell’avocazione dell’inchiesta “Why Not”. Il 19 ottobre 2007 l’inchiesta fu sottratta a De Magistris dall’avvocato generale Dolcino Favi. All’epoca era il reggente della procura. Motivo dell’avocazione: l’ex pm aveva iscritto nel registro degli indagati l’ex ministro della Giustizia, Clemente Mastella (poi archiviato), mentre quest’ultimo avviava un’indagine disciplinare sullo stesso De Magistris. Si profilò così – secondo Favi – un “conflitto d’interessi” tra il pm e l’indagato. “Conflitto d’interessi” che non s’è mai verificato, visto che la procura scrive che “veniva attestata, in un atto pubblico, una situazione contraria al vero”. E anche in questo caso, successivamente all’avocazione, l’inchiesta veniva penalizzata. “Parcellizzata”, scrivono gli inquirenti, visto che “Why Not” fu divisa in più filoni. Per questo reato sono indagati – oltre Pittelli, Murone e Lombardi – anche Favi e Antonio Saladino, all’epoca il principale accusato, nell’inchiesta “Why Not”. Indagati per favoreggiamento, rifiuto e omissione in atti d’ufficio, infine, l’ex procuratore generale di Catanzaro, Enzo Iannelli, il suoi sostituti Alfredo Garbati e Domenico De Lorenzo, il pm della Dda Lorenzo Curcio. Rifiutarono di consegnare agli ex titolari dell’inchiesta – Apicella, Nuzzi e Verasani – atti che erano utili all’indagine. Fu per questo che la Procura di Salerno, all’epoca, decise la perquisizione e il sequestro negli uffici di Catanzaro. Si parlò di “scontro tra procure” mentre, al contrario, si cercava soltanto di portare a termine un’indagine. Che è stata chiusa pochi giorni fa. Confermando l’impianto accusatorio dei pm salernitani che il Csm, dopo Luigi De Magistris, decise di punire e trasferire.
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