I FEDELISSIMI: OFFENSIVA TV , CON NOI DEVONO STARE ATTENTI. IL CAVALIERE: NESSUN NUOVO PREDELLINO
di Luca Telese
“Ma voi credete davvero che Gianfranco si faccia buttare fuori dal partito che ha fondato? Ah, ah, ah... Non lo conoscete... Adesso si mette a girare palmo a palmo l’Italia e le televisioni, e spiega al mondo come stanno le cose. Poi ne riparliamo...”.
Bisogna vederlo il sorriso da vecchia volpe di Salvatore Tatarella. A leggere i giornali del centrodestra tutti si immaginano i finiani in disfatta, demoralizzati e depressi. E invece, già il giorno dopo la battaglia della direzione, Gianfranco Fini era a Firenze, ieri, a ribadire il suo punto di vista, serafico, a parlare di riforme e di uninominale. Il suo sangue freddo è noto. Ma anche Italo Bocchino non scherza: “Non lo voglio più vedere in onda”, ha tuonato il premier. E lui giovedì sera si è addormentato a Linea notte, su Raitre, e la mattina si è risvegliato a Omnibus su La7. E Tatarella, fratello del ministro dell’armonia che fu il padre spirituale del Pdl, tira fuori dal cilindro un colloquio con il presidente della Camera su un passaggio storico sulla storia della destra che oggi potrebbe tornare utile: “Gli ho detto: ti ricordi del 1976?”. Già, il 1976: l’anno della scissione di Democrazia nazionale. Dal Msi se ne andarono praticamente tutti i gruppi dirigenti: i capigruppo di Camera e Senato, i dirigenti giovanili, tre quarti dei gruppi parlamentari, “Uomini simbolo come Lauro e Birindelli, ti rendi conto?”. Ed ecco il parallelo: “Tutti dicevano: ad Almirante sono rimasti solo gli uscieri. E lui che fece? Si rimboccò le maniche, si mise a girare sezione per sezione, e andò a finire così: alle elezioni Democrazia nazionale, con tutta la sua sfilata di colonnelli non raggiunse il quorum. E il Msi mantenne quasi inalterati i suoi voti”.
La tela
Certo, qualcosa è cambiato, per sempre, dopo la direzione del grande litigio. L’immagine che le tv non hanno trasmesso, e che invece resterà è quella di Berlusconi che al momento del voto, veste i panni dello scrutatore, con la mascella serrata, e quando si alzano le mani dei contrari li conta uno ad uno, indicandoli con il dito: “Lì... Lì... Lì...”. Se vuoi capire cosa succede nel Pdl devi entrare dentro questo paradosso: Berlusconi - che ieri ha assicurato “non ci sarà un nuovo predellino” - aveva già pronto un documento di sfiducia contro il presidente della Camera, voleva andare fino in fondo. Ma poi gli hanno spiegato che anche la piccola pattuglia di vietcong finiani che alla Camera sono pronti a seguire il loro leader nel bene e nel male è in grado di mettere in stallo Montecitorio, di ingolfare la (non più) gioiosa macchina da guerra del governo. E così, dopo lo scambio di battute feroci, ieri Fini era di nuovo la terza carica dello Stato, intento a tessere la sua tela: “La legge elettorale che garantisce di più - spiegava ieri a Firenze - è quella dei collegi: ci si candida e ci si confronta con gli elettori in base ai programmi e alle rispettive credibilità personali. Credo che l’uninominale sia la soluzione migliore”.
Leggendo le agenzie molti sono rimasti interdetti. L’intervento all’Istituto Stensen, se non altro, spiegava che Fini non crede minimamente alla possibilità di un voto anticipato. E così, considerando la possibilità di una riforma elettorale in questa legislatura, si spingeva a spiegare di non considerare opportuna la reintroduzione delle preferenze: “Non sono così convinto - ha detto - che sia una panacea. Il sistema delle preferenze fu abolito perché si prese coscienza dei guasti che provocava: moltiplicava i costi della campagna elettorale ed esponeva i candidati a qualche tentazione”. L’effetto di questa esternazione, prima ancora che politico è psicologico: se Fini parla di modelli elettorali, di sicuro non si prepara alla tempesta, né tantomeno ad abbandonare lo scranno più alto di Montecitorio. Però il contropiede è ripartito. Dopo lunghi mesi di digiuno televisivo il presidente della Camera ha un calendario di programma incredibilmente pesante: domani sarà ospite di Lucia Annunziata e martedì farà capolino nello studio di Ballarò. Insomma, riaggiornata ai tempi, non la strategia del silenzio, ma quella del palmo a palmo per convincere la base. Altro paradosso: nella pattuglia dei suoi guastatori ci sono molti che storicamente sono stati oppositori di Fini. Personaggi radicati come il campano Pasquale Viespoli che sorrideva: “Noi che ci siamo forgiati nell’opposizione a Fini, quando era in An, sappiamo come si sopravvive senza poltrone e prebende”. Stesso discorso per Flavia Perina, ex colonna della corrente rautiana. E persino di Italo Bocchino, che da Fini fu degradato, dopo le Regionali, e piazzato al numero due sul proporzionale perché si sudasse l’elezione. Sospira, Viespoli: “Si sta cercando di fare propaganda su questa storia degli 11 oppositori isolati... In realtà quel voto conta poco o nulla. Il messaggio di Gianfranco è arrivato come una bomba alla base”.
Fragile granito
Sorride amaro Roberto Menia, l’unico che alla fiera di Roma parlò contro lo scioglimento di An: “Io glielo avevo detto: Gianfranco, questi ti fanno il vuoto intorno, resterai un generale senza esercito. Molti di quelli che mi accusarono di tradire Fini, quel giorno, ieri erano lì a tirare sù la delega per far vedere che gli avevano votato contro”. Insomma, il paradosso è tutto qui. Più Berlusconi tira la corda, più ottiene l’effetto di quadrare la pattuglia intorno al leader di An. Sarà una lotta senza quartiere. Ma nell’anonimato, qualcuno dei fedelissimi spiega: “L’unanimismo intorno a Silvio non è granitico come sembra. Soprattutto al nord, dove se si votasse uno su due dovrebbe cedere il suo posto alla Lega. Con noi devono stare attenti. Perché abbiamo detto in ogni modo che voteremo il programma del governo e sosterremo la maggioranza. Ma su tutto quello che non è nel programma decideremo volta per volta”. Ad esempio sulle intercettazioni, che arrivano al voto dalla commissione presieduta da Giulia Buongiorno, fedelissima del presidente della Camera.
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