Cordero: estorsione sulle istituzioni, speriamo in Fini
di Silvia Truzzi
Superato l’imbarazzo (parlare di Berlusconi nello studio di Franco Cordero), l’intervista al professore - docente emerito di Procedura penale alla Sapienza e commentatore di Repubblica - può cominciare.
Professore, se dovesse riscrivere il suo manuale come comincerebbe il capitolo sul legittimo impedimento?
Direi che il legittimo impedimento è l’espediente con cui viene reintrodotta un’immunità due volte dichiarata incostituzionale. Però il Parlamento dominato dal centrosinistra nei tardi anni 90 ha elaborato norme dal taglio già berlusconiano. Sfruttandone una, l’imputato Previti allungava a dismisura l’udienza preliminare accampando impegni parlamentari come la discussione di norme per la tutela delle minoranze linguistiche. Il giudice, stanco dei rinvii, emette un’ordinanza incauta nella forma, il cui senso era “la giustizia non è meno importante degli impegni parlamentari”. Insorge la difesa Previti e insorge anche Luciano Violante. Ex magistrato ed ex comunista d’un genere severo - credo lo chiamassero Vishinskij, il pubblico ministero delle purghe staliniane. Violante solleva un conflitto di attribuzioni: la Consulta risponde che sono due interessi egualmente importanti. Di qui la prassi dei calendari concordati.
Capitolo intercettazioni.
Capirei l’apprensione se intere classi di persone fossero intercettate, come probabilmente avverrebbe in un regime berlusconiano: la sua privacy vale solo finché bisogna addomesticare l’arnese giudiziario scomodo ai suoi simili. Quando fosse il signore d’Italia - come aspira a diventare - la privacy scadrebbe a concetto fuori moda. I suoi gusti vanno verso il modello Kgb più che in senso liberale. L’idea che siano intercettabili solo persone a carico delle quali esistono gravi indizi di reato è demenziale.
Lei ha scritto che assistiamo a un golpe al ralenti: c’è stata una accelerazione?
Gli strappi di Berlusconi non fanno notizia perché lui è fuori dal sistema. È un po’ meno cauto di quanto fosse nella prima apparizione governativa. È allora che il sistema italiano ha dimostrato d’essere privo di anticorpi. Allora bisognava cogliere l’anomalia - non scandalosa, ma terrificante - dell’avere come capo del governo il duopolista dell’etere. È allora che il presidente Scalfaro dichiara l’intenzione di vegliare personalmente sul rispetto delle regole: impegno che non poteva essere adempiuto perché la violazione era nel fatto che costui avesse tre reti televisive e fosse così ricco da poter comprare mezzo mondo.
E ora?
Il Berlusconi attuale è selvaggio: prima non si sarebbe avventato contro i magistrati che gli davano fastidio paragonandoli alla Banda della Uno bianca. Adesso ha minori inibizioni. Anzi, nessuna. Non è cambiato. La metafora del caimano coglie questa potenza biologica, monolitica dell’individuo: può essere solo così. E va avanti non a colpi di raziocinio, ma guidato da riflessi. Come lo squalo, il caimano non sbaglia l’azzannata. Nella prima esperienza di governo sentiva poteri ostili: quel presidente della Repubblica era meno mansueto dell’attuale.
Napolitano è stato criticato per aver firmato decreti ad personam e molto difeso dai costituzionalisti.
Non spetta a lui ma alla Consulta dichiarare invalide le leggi. Però poteva farsi costringere a promulgare dopo il rinvio un paio di leggi incostituzionali.
Perché non l’ha fatto?
Probabilmente i suoi consulenti giuridici l’hanno persuaso che non lo fossero.
Anche il lodo Alfano?
Gridava incostituzionalità: la firma è stata un gesto malaccorto. Era un caso tipico di rifiuto della promulgazione d’emblée.
Napolitano l’ha fatto per poter giocare la carta rinvio nella partita delle riforme istituzionali? Alcuni lo sostengono.
Il fatto era molto grave, il tentativo di procurarsi un’immunità di quel genere andava talmente oltre ogni legalità da non essere tollerabile. Subire - sia pure a denti stretti come male minore, come via di fuga da un male peggiore minacciato dall’estorsore - non è un gesto politicamente lodevole. Ci sono soperchierie davanti alle quali bisogna parlare chiaro.
Leggi ad personam: abuso d’ufficio e revisione del processo. Due provvedimenti targati centrosinistra.
Il centrosinistra non ha la coscienza limpida. La maggioranza sinistrorsa pendeva su una linea di resa incondizionata. Dal ‘98 al 2001 le Camere hanno legiferato in un senso prossimo all’ideologia bicameralista. Il ceppo genetico di quelle leggi era piduistico.
Gelli ha detto che vuole il copyright sul Piano di Rinascita.
Rispetto al dominante attuale aveva dello stile. Non che fosse sopraffino, ma senz’altro preferibile.
Lei ha scritto: “Il diritto ha una logica refrattaria all’imbroglio”. Vale sempre?
Non il diritto prodotto da Camere in cui l’interessato a sciogliere certi conflitti a proprio beneficio, adoperi suoi avvocati in aula e nelle Commissioni parlamentari. Siamo allo scherno delle istituzioni. La forma giuridica maschera una violenza, un gesto padronale.
Lei guarda la tv?
Poco, vedo il Tg3.
Però avrà letto delle polemiche sull’editoriale del direttore del Tg1 su Mills. Prescrizione e assoluzione sono sinonimi?
Dire che l’imputato di un reato prescritto sia stato assolto è uno sgorbio.
È il 25 aprile: ci crede al nuovo fascismo?
È durata poco la speranza d’una metamorfosi italiana alimentata dalla guerra partigiana, dallo scioglimento del conflitto mondiale. Il fondo organico è rimasto tale e quale. Ed era chiaro come non fosse facile modificarlo, tanto era incarnata l’esperienza dei 22 anni di fascismo. Già nel giugno ‘46 Togliatti Guardasigilli propone un’amnistia che taglia corto sulle responsabilità penali in materia di criminalità politica. Togliatti era un metternichiano. Alcuni aspetti dalemiani credo siano riconducibili al modello Togliatti: con la differenza che adesso c'è il vacuum ideologico, allora c’era un orientamento ideologico fideistico. Nel ‘47 il Pci vota in sede costituente l’articolo 7 della Carta sui Patti lateranensi. Voleva essere una mossa astuta di addomesticamento della parte cattolica.
Non molto lungimirante?
Tutt’altro che lungimirante. Qualcosa di analogo è successo durante il sequestro Moro, quando il Pci era rigorosamente ostile al negoziato perché lo Stato non deve trattare. Non era un gesto particolarmente furbo dal punto di vista politico, né molto morale. Giuridicamente parlando la questione era ovvia. Bisognava salvare l’uomo politico. Il Codice penale prevede come scriminante lo stato di necessità. Trattare non significava riconoscere le Br ma venire a capo della questione poliziesca che il ministro degli Interni Cossiga non riusciva a risolvere. E subito dopo dare la caccia ai sequestratori.
L'origine della domanda era il nuovo regime. Siamo in una democrazia diminuita?
B. non vuole il Parlamento né la separazione dei poteri, aspira a una formula costituzionale in cui chi governa non abbia impacci camerali, non sia costretto a negoziare, possa agire da padrone. Questo è un regime sudamericano. O europeo del genere nazista 1933-45, quando il Führer era la legge. Abbiamo sotto gli occhi questa spinta autocratica: è radicata nei suoi cromosomi. Agiva e agisce occultamente da imprenditore talora monopolista. In quel mestiere non esiste dialettica politica, conta la volontà del padrone. E lui vuol essere tale: l’affare Fini lo prova.
Fini, già leader dell’Msi, poi sdoganato - “defascistizzato” - da Berlusconi, ora sembra l’ultimo argine della democrazia.
Sono convinto della serietà del cambiamento interno di Fini: non è più l’allievo di Almirante. È l’esponente di una maniera civile e liberale di intendere il gioco politico. Non capisco come possa condividere certe posizioni berlusconiane. Il premier doveva risolvere le sue difficoltà giudiziarie e ha speso così alcuni anni.
Non gli è riuscito benissimo però. I giureconsulti azzurri non sono ferratissimi?
In varie occasioni l’operazione non è riuscita. A breve scadenza però hanno ottenuto risultati: B. ha di fatto lucrato l’estinzione del reato, anche accorciandosi due volte la prescrizione.
La notte della giustizia?
È triste vedere come gli oppositori siano fiacchi. Danno l’impressione di essere entrati nell’ordine di idee dell’avversario, l’hanno accettato come antagonista più che legittimo, lo trattano con un timoroso rispetto fuori luogo: se c’è qualcosa che non va trattato con i guanti è il gesto padronale con cui lui dispone del Paese. Sia Bersani che Letta jr non hanno l’aspetto degli antagonisti efferati. Letta jr ha detto che era incline alla leggina e alle riforme. E poi che “è chiaro come l’opposizione frontale, l’antiberlusconismo viscerale conduca solo ad altre sconfitte”.
Ma quando mai c’è stato l’antiberlusconismo frontale?
Mai. Può anche darsi che l’esito sia una sconfitta, come dice Letta jr. Ma la casistica delle sconfitte prevede differenze: ci sono quelle con onore, che implicano rivincite anche gloriose. Poi ci sono quelle vergognose: farsi battere avendo accettato quasi tutto ciò che il nemico rappresenta è una sconfitta disonorevole. In termini di politica seria questo si chiama suicidio.
Il suo ultimo libro s’intitola “Il brodo delle 11”: che significa?
Il brodo delle 11 era l’ultimo pasto del condannato, il sabato mattina c’era l’esecuzione.
È il sabato italiano?
Spira aria d’apocalisse, viviamo una situazione da ultimi tempi: speriamo non chiudano la storia. Ci vorrebbero secoli per riemergere dal letargo. Certi danni sono irreversibili, soprattutto grazie all’opposizione che non ha saputo tener vive certe idee. Le prognosi non sono troppo incoraggianti.
Borrelli direbbe ancora “Resistere, resistere, resistere”?
Io credo di sì. Anche se c’è stato un logoramento in questi ultimi anni. Però può darsi che nelle persone sopravvenga la stanchezza, il disgusto. Il non votare è già un modo di estromettersi, di uscire dalle scelte spiacevoli stando alla finestra.
Ultima: lei vota?
Certo.
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