domenica 18 aprile 2010

Lo strappo dell'uomo in grigio


di Marco Damilano

Fini rischia il tutto per tutto con l'ultimatum lanciato a Berlusconi. E dopo anni passati nei ranghi, si candida a nuovo leader del Paese

Gianfranco Fini è un passo dallo strappo finale: l'uscita dal Pdl e la costituzione di gruppi parlamentari autonomi alla Camera e al Senato. Servono almeno venti deputati e dieci senatori. I deputati ribelli lasciano Montecitorio dopo la riunione con il presidente della Camera e annunciano battaglia.

«Berlusconi pretende di fare la Terza Repubblica mentre canta una canzone francese con il figlio di Bossi, la Trota. Noi con questa gente non ci stiamo!», sbotta Italo Bocchino, e pazienza se ci sono stati per sedici anni. «Quanti siamo? Molti di più di quanto immaginate», minaccia.

Sono le ore della conta. Viespoli c'è, anzi, no. Barbareschi ci sta. Il ministro Meloni non si sa. Ronchi tentenna. Granata, invece, è un uomo felice. «Il Pdl non esiste», grida a tarda sera un altro deputato finiano, il siciliano Carmelo Briguglio. Una liberazione. Il 25 aprile di Fini, con dieci giorni di anticipo.

La miccia sono state le dichiarazioni di Bossi di mercoledì sera: la richiesta del potere nelle banche e l'annuncio che la Lega si sente in corsa per Palazzo Chigi nel 2013 hanno spinto il presidente della Camera a rompere gli indugi. Ora o mai più: invecchiare da notabile impagliato come un gufo su una parete di Montecitorio, mentre Berlusconi e Lega si spartiscono il paese, fare la fine della sinistra democristiana, sempre sul punto di uscire dalla Dc e sempre rimasta dentro, fino al crollo del partito. Oppure rischiare il tutto per tutto, agire subito anche a costo di finire nel bel mezzo di una disputa sulle poltrone, chi comanda nel Pdl. Ma sarebbe una lettura riduttiva.

Nel comunicato con cui il presidente della Camera ha dato l'ultimatum a Berlusconi si parla di «un partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e condivise». Insomma, tutto quello che l'attuale Pdl berlusconiano non è.

Anni fa il filosofo Remo Bodei in "Il noi diviso" definì «passioni grigie», per distinguerle dalle passioni rosse, bianche, nere che hanno caratterizzato le grandi culture politiche, le virtù del partito d'Azione o degli eroi borghesi, inevitabilmente minoritarie: «scarsamente diffuse in Italia, respingono il fanatismo e l'estremismo, prediligono l'efficienza e la normalità. Pongono in primo piano i diritti e i doveri, la ragionevolezza, l'onestà, la serietà. Si presentano grigie e impiegatizie, modeste e di routine soltanto a coloro che considerano la democrazia un regime orientato dai gusti volgari e dalle opinioni superficiali delle folle o retto da potenti lobbies che manipolano spregiudicatamente il consenso».

Per decenni Gianfranco Fini è stato considerato un politico incolore, il leader Facis, il politico dal pensiero Lebole. Ora per salvare il suo futuro politico si trova a sfidare la montante marea berlusconian-leghista. Un fronte fragilissimo che può essere spazzato via dalla minaccia di elezioni anticipate, fatta recapitare dal presidente del Senato Renato Schifani. Ma adesso Fini è al bivio della sua carriera politica. Tornare nei ranghi come un capocorrente sconfitto o portare la scommessa fino alle estreme conseguenze. Rimanere un uomo in grigio. O restituire un leader all'Italia delle passioni grigie. Incredibile che a candidarsi a farlo sia l'ex segretario del Msi.

(16 aprile 2010)

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