di FRANCESCO BEI
Se persino Gianni Letta, dopo il pranzo con Fini, è diventato pessimista, significa che la situazione si sta facendo davvero ingarbugliata. E, in certi frangenti, basta un granello di sabbia per piegare gli eventi verso un esito imprevisto. Così due sere fa, mentre Berlusconi ascoltava Cicchitto, Alfano e altri che gli spiegavano quanto quella di Fini fosse "una piccola fronda senza numeri per impensierirci", il sottosegretario è intervenuto con aria grave: "La state facendo troppo facile". E non sarà un caso allora se Letta, che in altre situazioni sarebbe già stato all'opera per mediare, fino a ieri sera non si sia fatto sentire con il presidente della Camera. Soluzioni a portata di mano infatti non ce ne sono, mentre Berlusconi, in privato, continua a dire fuoco e fiamme del "cofondatore". Quello che Letta si è limitato a raccomandare al premier è di non concedere nulla a Fini sul fronte degli organigrammi: "Dobbiamo stare attenti - è stato il consiglio - a non rafforzarlo consentendogli di creare una squadra interna al partito. Altrimenti, tra un anno, il problema si ripresenterà in forma peggiore".
Letta comunque può stare tranquillo, visto che il Cavaliere a fare concessioni non sta pensando affatto. Anzi, proprio per mettere un dito nell'occhio a Fini, ieri si è fatto accompagnare (in elicottero) al Salone del mobile e al funerale di Raimondo Vianello da Daniela Santanché. Al pranzo con gli imprenditori qualcuno ha provato a chiedergli perché avesse "rubato" a Fini tutti i colonnelli ex An, e il premier ha risposto beffardo: "Non glieli ho portati via, io non ho fatto proprio niente. Quella è gente che adesso lavora con noi perché hanno capito la differenza che c'è tra me e lui". Battute velenose, come quella sul futuro politico del presidente della Camera: "È chiaro che non ha i numeri per fare i suoi gruppi, ma se anche ci riuscisse poi dove va? È un fantasma che cammina, alle prossime elezioni andrà da solo perché è chiaro che con il Pdl non sarà mai più alleato". Inoltre, spiega Berlusconi, "in caso di rottura io necessariamente dovrei alzare tutti i ponti. Non potrei riconoscerlo come interlocutore, altrimenti il giorno dopo mi troverei in Parlamento altri 12 gruppi "autonomi". Sarebbe la fine del Pdl e del governo".
Uno scenario di balcanizzazione del partito che, in ogni caso, per Berlusconi non ha alcuna possibilità di realizzarsi. La riprova, secondo il premier, la si è avuta ieri con il pranzo dei senatori "finiani". Quando gli hanno portato le agenzie di stampa con le dichiarazioni dei 14 senatori che frenavano sulla costituzione del gruppo autonomo, il Cavaliere ha sorriso soddisfatto: "Cosa vi avevo detto? Alla fine saranno solo una manciata, perché un conto è firmare un documento, un altro è fare una scissione. Fini ha scoperto di essere debolissimo".
Berlusconi prepara una vendetta fredda, senza rabbia. Riceve e sta ad ascoltare i mediatori che bussano alla sua porta (nelle ultime ore Gianni Alemanno e Giorgia Meloni), ma alla fine fa di testa sua. "Capite? Mi ha chiesto di cambiare i ministri di An, adesso vuole anche la testa di Cicchitto. Parla di politica, ma pensa al potere. Chiede maggiore democrazia interna, ma i suoi mi dicono che, quando c'era An, decideva sempre tutto da solo". E comunque, "se vuole sostituire La Russa come coordinatore, ci vada lui stesso, ovviamente dimettendosi da presidente della Camera". Insomma, di una ricomposizione al momento non se ne parla. "Faccia come crede, io vivo benissimo". Si capirà solo giovedì, alla direzione, se queste schermaglie sono solo pretattica oppure se si tratta davvero dell'inizio della fine.
(18 aprile 2010)
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