martedì 6 aprile 2010

OLTREOCEANO LO CHIAMANO “ALTARGATE”


di Angela Vitaliano

“Altargate”, così Tim Shriver, figlio di Eunice Kennedy, sorella di John e Bob Kennedy, definisce lo scandalo che sta scuotendo la Chiesa cattolica. Il presidente e amministratore delegato delle Special Olympics, collaboratore del Washington Post e della Cnn per le questioni legate alla fede, fa un parallelo fra lo scandalo della pedofilia e il Watergate che travolse la presidenza degli Stati Uniti, costringendo Richard Nixon a lasciare la Casa Bianca nel 1974. “Il Watergate – scrive Shriver – non fu solo uno scandalo ma fu una vera e propria minaccia per l’istituzione repubblicana che il presidente degli Stati Uniti rappresenta”. Le dimissioni di Nixon, dunque, ritenute inevitabili seppure simboliche della gravità della situazione, rappresentarono la via d’uscita per mantenere intatta la “sacralità della presidenza”. Ciò che Shriver suggerisce, perciò, a proposito del Papa e di tutta la dirigenza vaticana, che ovviamente non può dimettersi, è una sorta di conversione “ad amare Dio dal profondo delle loro anime e ad essere leaders di una Chiesa che sia allo stesso tempo madre e padre, pastorale e teologica, spirituale e dottrinale”.

In un paese abituato al fatto che le azioni hanno sempre una loro conseguenza, spesso anche simbolica, come nel caso di Richard Nixon (o di Bill Clinton, costretto a riferire pubblicamente della sua relazione con Monica Lewinski), ciò che pesa di più, fra cattolici e non, è il senso di impunità che i vertici della Chiesa hanno reso possibile si diffondesse rispetto a casi gravissimi, come quelli della pedofilia. Sebbene profondamente scossi e addolorati per le recenti vicende, molti fedeli ritengono insufficienti le “difese” poste in essere dal Vaticano e preferirebbero una presa di posizione più rigorosa e di aperta condanna. É inevitabile, come sottolinea anche il New York Times, primo ad aprire la serie di inchieste sugli scandali di abusi sessuali, che l’attacco a Ratzinger, responsabile per “l’insabbiamento” di molti degli episodi denunciati e oggi Papa, dunque capo assoluto della Chiesa, possa essere interpretato come un attacco più ampio al cattolicesimo ma è pur vero che, nello stesso tempo, non affrontare in maniera adeguata questi problemi potrebbe oscurare l’interezza dell’istituzione cattolica, positività incluse. Un altro particolare da non trascurare è che l’atteggiamento del Vaticano, che prova a ribaltare la scena gettando discredito sui media che hanno sollevato questo polverone, ha un effetto esattamente opposto in un paese come gli Stati Uniti dove la libertà di espressione (e di stampa) è più sacra di qualsiasi religione tanto che si diffida sempre di chi si difende attaccando i giornalisti. L’Associated Press, poi, ieri, è uscita con la notizia di un altro prete accusato di abusi sessuali e mai sospeso dal suo ruolo. Tre anni fa, infatti, come da documenti in possesso dell’agenzia, il Vaticano fu informato delle accuse contro padre Joseph Palanivel Jeyapaul, responsabile di abusi sessuali nei confronti di una ragazza di 14 anni in una chiesa del Minnesota. Il prete che ha ricevuto solo una punizione minore, continua a lavorare regolarmente per la chiesa, solo in India dove è stato trasferito e dove insegna in dozzine di scuole cattoliche della diocesi di Ootacamund. Proprio con riferimento a quest’ultimo caso, l’associazione “Survivors Network for those Abused by priest” ha tenuto ieri una conferenza stampa in Minnesota per chiedere la laicizzazione del prete e il suo allontanamento dalla Chiesa. Dal canto suo Palanivel Jeyapaul fa sapere di ritenersi innocente e di non avere nessuna intenzione di rientrare negli Stati Uniti per affrontare il processo. Anche in questo caso il Vaticano insiste nel dire che tutti i passi necessari sono stati compiuti ma l’Associazione lamenta l’assenza assoluta di direttive rigorose relative a questi casi che lasciano i vertici locali nell’impossibilità di agire direttamente sugli accusati.

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