di Paola Emilia Cicerone
La pillola blu compie dieci anni. Ha rivoluzionato il mondo delle terapie sessuali. Ma molti specialisti contestano i suoi miracoli. Perché spesso il disturbo organico nasconde un problema psicologico
Una volta era impotenza, un disturbo vergognoso e difficilmente trattabile, da vivere nel segreto della camera da letto. Oggi la disfunzione erettile, abbreviata in DE, è diventata oggetto di campagne pubblicitarie. Si combatte a colpi di farmaci che il marketing e la fama hanno reso persino glamour. Si chiamano inibitori della fosfodiesterasi 5, ma sono noti come Viagra, Cialis e analoghi. In poco più di un decennio hanno rivoluzionato il mondo delle terapie sessuali, ma proprio la disponibilità di farmaci così efficaci ha dimostrato che l'impotenza è di fatto un puzzle di disturbi, legati a diversi fattori, e che 'calarsi un Viagra' spesso non serve a nulla e a volte è anche molto dannoso.
Perché qualcuno comincia a sospettare che, in qualche caso, la scorciatoia chimica complichi il problema invece di risolverlo. "I farmaci hanno completamente cambiato la valutazione dell'impotenza. Trasformando in disturbo prevalentemente organico quello che era visto soprattutto come un problema psicologico", afferma Dirk Rösing dell'Università di Greifswald, che all'argomento ha dedicato un'ampia review sulla rivista tedesca 'Deutsches Artzeblatt International'. Il risultato, spiega lo specialista," è che spesso si passa alla terapia farmacologica senza approfondire la diagnosi, a rischio di ignorare elementi essenziali e cronicizzare il disturbo. Mentre in molti casi dietro all'impotenza si nascondono altri problemi, psicologici o fisici". Sbagliato dunque valutare il successo temporaneo della terapia in termini di prestazioni, "limitandosi ad aggiustare un meccanismo che si è rotto senza affrontare le cause del disturbo", ricorda Rösing. Lo scontro è tra specialisti che frammentano il problema secondo le proprie competenze: urologi e andrologi si concentrano sulla fisiologia vascolare, gli endocrinologi sui meccanismi biochimici e i sessuologi su quelli psicologici. "Abbiamo bisogno di una prospettiva più ampia", afferma il presidente della Sexual Medicine Society del Nord America, Ronald Lewis: "I trattamenti farmacologici per l'impotenza possono mettere l'uomo in condizione di avere un rapporto, ma non fanno niente per guarirlo".
Perché più che di impotenza sarebbe il caso di parlare di impotenze, con ampio margine di variabilità per quanto riguarda frequenza e gravità del fenomeno. "Nella popolazione europea la prevalenza media del disturbo è del 10 per cento", spiega l'endocrinologo Mario Maggi, direttore del centro di Medicina della Sessualità & Andrologia dell'Università di Firenze. Una percentuale che sale con l'età e riunisce situazioni diverse: "Il 50 per cento circa di questi casi ha origini organiche, per il resto si tratta di problemi psicologici o relazionali: ma spesso le diverse cause si sovrappongono".
Da qui l'importanza di una diagnosi accurata: "È fondamentale che la prescrizione del farmaco sia accompagnata da un adeguato intervento di consulenza", spiega la sessuologa Chiara Simonelli. Oggi i diversi farmaci permettono di progettare interventi personalizzati: ci sono quelli come il sildenafil (viagra), legati alla prestazione perché hanno un'emivita più breve e sono adatti per i giovani alle prime esperienze, altri come il tadalafil (cialis) che garantiscono una copertura più ampia, pensati per le coppie che hanno un momento di difficoltà. Ma perché un farmaco funzioni serve la partecipazione del paziente. "Queste sostanze non stimolano il desiderio, a meno che a bloccarlo non sia solo l'ansia da prestazione. In questo caso, la ritrovata sicurezza può aiutare", spiega Simonelli.
Insomma, dieci anni di Viagra e fratelli hanno scompaginato il quadro. Perché da un lato terapie farmacologiche così potenti, unite alle campagne di marketing per diffonderne al massimo l'uso, hanno portato alla luce molte situazioni nascoste in attesa che fosse il tempo o un partner diverso a risolverle; a volte la soluzione arrivava, a volte no. La venuta allo scoperto di una nuova patologia diffusa ha fatto il resto: studi, specialisti, altre terapie. E soprattutto, diagnosi accurate. Con la conseguenza paradossale che proprio da questa mole di studi e casi clinici si è capito che la terapia farmacologica va presa con molte molle.
Così, a sorpresa, tra i fattori che più spesso influenzano la funzionalità sessuale si è scoperto che ci sono obesità e inattività fisica. "La scarsezza di massa muscolare e la sindrome metabolica sono sicuramente da annoverare tra le cause di DE", osserva Maggi: "L'intervento sullo stile di vita è fondamentale per aiutare i pazienti: palestra e bicicletta fanno bene al cuore, all'autostima, all'immagine di sé". Maggi a Firenze ha un osservatorio privilegiato per abbracciare con uno sguardo le tante cause della DE, giacché segue pazienti con situazioni complesse. "Da noi quelli che hanno risolto il problema con un farmaco non arrivano", precisa. Perché, certamente, piccoli incidenti di percorso si possono superare con la pillola blu, e se sono tali la vita riprende. Diverso è, invece, se non si tratta di incidenti passeggeri, ma le difficoltà erettive hanno ragioni particolari per le quali servono diagnosi complete. E sono i problemi cardiovascolari a fare la parte del leone: "L'impotenza è una spia importante sul destino cardiovascolare di un soggetto. Il mal funzionamento dei vasi sottilissimi del pene può anticipare problemi a livello cardiaco", prosegue Maggi. Più rari e gravi i casi in cui il disturbo deriva da cause neurologiche, lesioni o malformazioni diagnosticabili con appositi test di funzionalità e trattabili con protesi o chirurgia ricostruttiva.
Ma quando un fallimento momentaneo diventa un problema vero? La definizione della DE, che fa riferimento alla rigidità necessaria per attuare una penetrazione vaginale, suona a molti semplicistica. Anche perché ignora elementi come il desiderio sessuale, l'orgasmo e le infinite variazioni della sessualità umana. E non dà conto del fatto che spesso si sovrappongono disturbi diversi come l'eiaculazione precoce, un problema che va inevitabilmente di pari passo con la DE.
"A volte è un'erezione un po' incerta a indurre nel tempo eiaculazione precoce. È importante accertarlo in fase diagnostica, perché l'intervento si orienta sull'erezione", spiega Simonelli. Si comprende così il successo del sildenafil anche in casi di eiaculazione precoce. Che colpisce pure pazienti giovani: "Ho visto spesso ragazzi di 20-30 anni che hanno questo disturbo e temono di concludere il rapporto troppo presto. Così si tirano indietro, non riescono ad avere l'erezione".
L'International society of sexual medicine ha stilato una definizione di eiaculazione precoce, e parla di Ielt (intravaginal ejaculation latency time): la commissione considera disfunzionale un rapporto che si conclude dopo 60-90 secondi dalla penetrazione. "Specialisti come Marcel Waldinger affermano che l'eiaculazione precoce è un disturbo di origine strettamente neurobiologica," ricorda Simonelli: "Per chi lavora con i pazienti l'elemento fondamentale di cui tenere conto è il disagio individuale, che è fortemente soggettivo: ci sono persone che vivono serenamente situazioni che altri percepiscono come una menomazione".
Per Maggi e la sua équipe è la coppia, e non il singolo, l'entità di riferimento per la terapia: "I nostri studi mostrano che a influenzare il destino cardiovascolare dei pazienti è il desiderio della partner: per chi si sente amato il rischio di infarto diminuisce sensibilmente", chiarisce Maggi: "Gli uomini che non si sentono desiderati vanno più tardi dall'andrologo, un ritardo che può essere fatale. E spesso cadono in depressione, fattore di cui stiamo studiando l'associazione con il rischio cardiovascolare". Un quadro troppo complesso per pensare di risolverlo solo con una compressa.
(06 aprile 2010)
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