di Marco Travaglio
È un periodo di buone notizie, ne arrivano a carrettate. Ieri per esempio il Pompiere della Sera informava che Veltroni e D’Alema, un trust di cervelli, hanno raggiunto un accordo. Per ritirarsi dalla vita politica? No, magari: per “aprire al presidenzialismo”.
Mentre nelle sezioni del Pd si registrano i primi caroselli di giubilo e perfino qualche improvvisato Carnevale di Rio, specie nell’apprendere che il partito “ha il dovere di mettersi in gioco” nell’ambito del “cammino di svolta da intraprendere per indicare soluzioni vere agli italiani” allo scopo di “avviare una riflessione politica seria” senza dimenticare la “vocazione maggioritaria”, “il profilo riformista” (utilissimo per le foto segnaletiche), “l’apertura al confronto” e l’“abbassamento dei toni”, passiamo ai dettagli, che sono impagabili: nella riunione del coordinamento del partito, anziché interrogarsi su quisquilie come la perdita di 2 milioni di voti rispetto alle ultime Regionali, i due Attila del Pd hanno convenuto che – dice Max – “dobbiamo riflettere sul presidenzialismo” perché “un partito come il nostro non può avere una proposta sulla riforma dello Stato” (la stessa di Berlusconi, ça va sans dire); e che – aggiunge Uòlter – “non si possono solo dire dei no al presidenzialismo”, ergo si può “andare oltre la bozza Violante” (la nota boiata che vuole rafforzare i poteri del premier, oggi così smunto ed emaciato).
Poteva mancare l’illuminato parere di Andrea Orlando, il visopallido che fa il responsabile Giustizia? No che non poteva: egli si dice convinto che sul presidenzialismo “si debba andare avanti” perché “noi siamo all’opposizione e non dettiamo l’agenda, se il Pdl propone il presidenzialismo dobbiamo attrezzarci”. Dire di no per far mancare i due terzi necessari al Ducetto per riformare la Costituzione in Parlamento e poi dare battaglia nel referendum per salvare la Costituzione, pare brutto.
L’opposizione non deve opporsi, non sia mai. Orlando però riconosce che gli elettori potrebbero non capire. Non potendo al momento abolirli, questo gigante del pensiero propone di rassicurarli affiancando al presidenzialismo “una proposta sul conflitto d’interessi” perché “con un capo dello Stato con più poteri eletto direttamente dal popolo diventerebbe indispensabile una legge che regoli la materia”. In effetti Berlusconi eletto presidente dal popolo con cinque o sei televisioni pare eccessivo persino al Pd: ecco, magari gliene levano una e la sostituiscono con Youdem. Sempre che Lui sia d’accordo, s’intende, visto che la maggioranza ce l’ha Lui.
Insomma, l’opposizione è lucida e, soprattutto in buone mani.
Peccato che, come osserva l’acuto Caldarola sul Riformatorio, sia condizionata da due giornali, Repubblica e – bontà sua – Il Fatto, che avrebbero addirittura “lanciato un’Opa sul Pd” (diversamente da lui, che scrive contemporaneamente sul Riformatorio e sul Giornale).
Il popolare Caldarrosta implora dunque il Pd di “smettere di ascoltarli”, ignorare i loro “suggerimenti suicidi” e “smettere di farsi dirigere da costoro”, perché “con questi giornali il centrosinistra non vincerà mai”. L’idea che i giornali servano a dare notizie, analisi e commenti, e non a far vincere o perdere le elezioni a questo o quello, neppure lo sfiora. Né l’arguto commentatore spiega quando mai il Pd avrebbe seguito un suggerimento del Fatto. Gli sfugge pure un trascurabile dettaglio: avendo appena sei mesi di vita, Il Fatto anche volendo non può aver provocato le leggendarie disfatte del centrosinistra dell’ultimo quindicennio. Anche perché il centrosinistra riesce benissimo a perdere da solo.
Ora però una domanda sorge spontanea: vista l’inarrestabile emorragia di voti (calcolata in milioni) che affligge il Pd e la più ridotta emorragia di lettori (computata in unità, anzi in decimali) che colpisce il Riformatorio, quale dei due soggetti raggiungerà per primo lo zero assoluto?
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