domenica 25 aprile 2010

Trasferire le funzioni non basta . È il momento del federalismo fiscale


L'intervento del ministro Calderoli

Caro Direttore,

i recenti editoriali di «nonno» Sartori sul federalismo partono da un presupposto sbagliato perché confonde federalismo e federalismo fiscale; non cogliendo minimamente quella che è la situazione. Sartori pone questa domanda: «nuove sedi, nuovo personale, nuovi stipendi. Questa cosiddetta devolution quanto verrà a costare? Nessuno lo sa, nemmeno all’incirca». Se la domanda è radicalmente sbagliata non merita risposta. Ma siccome insiste spieghiamo.

L’Italia ormai da dieci anni è vittima di un’anomalia strutturale: il cantiere federalista è stato avviato solo a metà, trasferendo funzioni e competenze ma rimanendo invece fermo sul fronte del finanziamento, affossato in un modello di «finanza derivata». Anche nella Spagna degli Anni 80, all’indomani della nuova Costituzione con la quale furono assegnati maggiori poteri alle Comunità Autonome, mancava la responsabilità impositiva; questa dissociazione tra spending power e imposizione aveva fatto esplodere i conti pubblici.

Il rimedio — e il successo — del federalismo spagnolo è stato il federalismo fiscale, poi avviato con decisione. Nell’Italia di oggi la spesa pubblica (escluse pensioni e interessi) si divide ormai a metà tra Stato e sistema delle autonomie, ma per queste ultime il potere impositivo è limitato a poco più del 10%. Si è così realizzata una forte dissociazione della responsabilità impositiva da quella di spesa. A pagare per questa situazione sono stati tutti gli italiani. Un sistema di finanza derivata finisce per premiare chi ha creato più disavanzi, favorisce una politica dell’inefficienza, mentre chi ha speso meno— perché è stato più efficiente — deve continuare a spendere e ricevere di meno. Inoltre, ha diffuso il costume dello «scaricabarile» delle responsabilità: il sindaco scarica sulla Regione le responsabilità delle sue inefficienze, la Regione accusa lo Stato di non avergli dato i soldi con una evidente confusione di responsabilità.

Senza rovesciare questa dinamica e senza reali incentivi all’efficienza non si potranno creare sufficienti motivazioni per una razionalizzazione della spesa pubblica. Il federalismo fiscale è quindi il rimedio. È stato ampiamente condiviso dalle forze politiche, anche di opposizione e dalle autonomie territoriali (tutti ignoranti e irresponsabili, secondo Sartori?). La legge si fonda su due principali coordinate: la prima è quella del passaggio dalla spesa storica al costo standard e opera sul lato della spesa: si passerà dal finanziamento dei servizi in base a quanto si è speso in passato ad un finanziamento del solo costo standard. Il finanziamento in base al costo standard porta per definizione a un risparmio e a una razionalizzazione della spesa pubblica: se un servizio ha un costo effettivo di 10 euro — e fino ad oggi è stato finanziato per 15 — di sicuro risparmieremo 5 euro e in più, garantendo il finanziamento integrale, assicureremo l’esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione su tutto il territorio nazionale, cosa che oggi non avviene. Le maggiori risorse che si renderanno disponibili andranno a ridurre il debito pubblico, la pressione fiscale o a migliorare la qualità dei servizi.

La seconda coordinata sarà l’attribuzione agli enti territoriali di un’autonomia impositiva sufficiente: gli enti disporranno di proprie entrate autonome e saranno obbligati ad essere gli attori principali della lotta all’evasione, grazie alla conoscenza che hanno del territorio. In più, i cittadini avranno a disposizione la «tracciabilità» dei tributi: sapranno non solo quanto e a chi versare, ma anche come saranno utilizzate le loro risorse. Dunque, al momento del voto saranno loro, finalmente consapevoli, in grado di premiare o sanzionare gli amministratori. Ma non solo responsabilità politica ma anche controlli e sanzioni. Gli amministratori che non rispetteranno le regole non potranno assumere personale, si vedranno bloccate le spese discrezionali, dovranno insomma ridurre le spese (perché altrimenti dovranno richiedere risorse aggiuntive ai propri amministrati). Chi causa dissesto non solo andrà a casa, ma non sarà rieleggibile ad alcuna carica. Ecco che cosa intendiamo per fallimento politico, ovvero responsabilizzazione con le buone o con le cattive. Il federalismo fiscale, da solo, però non basta per ridurre i centri di spesa. Una parte di tale riduzione l’abbiamo realizzata con il decreto legge sugli enti locali e il suo completamento si realizzerà con il Codice delle autonomie, all’esame del Parlamento, e con la prossima revisione costituzionale, necessari per definire compiutamente «chi fa che cosa» e garantire che quella cosa sia fatta da un solo soggetto.

Certo è una strada in salita di cui però abbiamo percorso già un bel pezzo. Abbiamo cuore e polmoni per raggiungere la vetta. Infine, chi di Shakespeare ferisce, di Shakespeare perisce: «Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio».

ministro per la Semplificazione normativa

Roberto Calderoli

24 aprile 2010

3 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

UN TESTO IRRIDENTE, IRRIVERENTE E INSULTANTE: DA VERO LEGHISTA. SARA' FARINA DEL SUO SACCO?

Anonimo ha detto...

Il Federalismo è l'unica "medicina" per sradicare il pagnottismo e la camorra di cui il Sud è intriso. Saluti

BM

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

MAVALA', PIRLA!