venerdì 21 maggio 2010

GIULIO ANSELMI INSORGIAMO È UNA LEGGE LIBERTICIDA


Il presidente dell’Ansa risponde all’appello lanciato dal nostro giornale contro il ddl sulle intercettazioni

di Silvia Truzzi

Informare e trasgredire o ubbidire e nascondere? Siamo ancora in tempo per scongiurare questa scelta. Per fermare la legge sulle intercettazioni bisogna che i giornali si diano una mossa. In fretta, senza balbettare, dimenticando gli equilibrismi. Altrimenti metteranno la museruola a tutti: cani da guardia, cani che abbaiano senza mordere, cani da compagnia. Giulio Anselmi – presidente dell’Ansa, alle spalle una lunga carriera nelle direzioni dei giornali più importanti – spiega perché è una questione di sopravvivenza.

Il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, ha detto ‘se ci mettiamo tutti insieme, questa battaglia la vinciamo’. Lei ci crede?

Sì, assolutamente. Ci vuole una reazione comune, perché la legge che il Paese rischia di subire non è un freno ad abusi giornalistici. Ma un’autentica e pesantissima limitazione alla libertà di stampa. Non si occupa solo di intercettazioni, vieta ai giornali di pubblicare anche in sintesi tutte le notizie su inchieste in corso fino alla chiusura delle indagini preliminari. Il che significa non dare notizie per 4-6 anni.

È un lasso di tempo enorme. Non tanto per l’utilizzabilità della notizia, quanto per la sua utilità.

Utilità e memoria, direi. Tra l’altro in tempi in cui la memoria è breve anche per la gran quantità di notizie che tutti i giorni si riversano sui cittadini. Un giornalista, comunque la pensi politicamente, non può che insorgere. E infatti sta accadendo, anche se per ora in maniera un po’ sparpagliata. Non è un discorso corporativo, infatti lo capiscono bene anche gli editori. Se la legge passa sarà una ferita vera per la democrazia.

Gli editori hanno preso una posizione chiara. La legge li mette nelle condizioni di avere interessi opposti a quelli dei giornali. E quindi di dovere interferire sui contenuti.

È un vulnus tale che la preoccupazione scende dal Quirinale e attraversa gran parte del mondo politico e dell’editoria. Un’industria già in difficoltà che si trova di fronte a sanzioni economiche pesantissime. E si trova, soprattutto, a dover scegliere tra conto economico e libertà di stampa, rendendo conflittuale il rapporto con i direttori: una brutta situazione.

Alcuni tra giuristi e giornalisti invocano la disobbedienza civile: di fronte a tanto, se la legge dovesse passare, non si può fare spallucce.

In tempi, e questi lo sono, di emergenza è giusto fare fronte comune. Per fronte comune – che per adesso è solo accennato – intendo i giornalisti, i direttori, le rappresentanze sindacali e gli editori. Io spero che questo fronte sia sufficiente per una riflessione. Perché la disobbedienza civile è una soluzione estrema: io preferirei che si potesse evitare. Anche se s’intravede qualche segnale di apertura da parte del governo, è un’ipotesi su cui conviene cominciare a ragionare. Se i giornalisti vogliono combattere e vincere questa battaglia, devono fare in modo che l’opinione pubblica si sensibilizzi sul serio. Finora ci sono state raccolte di firme, è vero. Ma l’attenzione è ancora relativa. Un po’ perché l’opinione pubblica ci vede contigui al potere. E risvegliati solo ora davanti a questa legge che – non c’è dubbio – è una legge liberticida. Però ci sono alcuni comportamenti che noi non avremmo dovuto tenere e rispetto ai quali solo ora si manifestano timide ammissioni. Adesso si cominciano a sentire giornalisti che dicono: abbiamo pubblicato intercettazioni inutili, coinvolgendo persone estranee alle indagini, per storie pruriginose. Mi piacerebbe che noi fossimo capaci di autoregolamentazione, sarebbe la via preferibile. Però non ho molta fiducia né nella nostra capacità di darci codici cui attenerci, né nell’Ordine dei giornalisti. Con rammarico – lo dico perché vorrei che ce la cavassimo da soli – credo si debbano accettare forme di tutela legale della privacy, per esempio sulle persone estranee.

Però se le norme entrassero in vigore, i direttori saranno di fronte a un dilemma di non poco conto: non dare le notizie o violare la legge. Che fare?

Noi abbiamo il dovere di informare. In molte altre democrazie non sarebbe nemmeno immaginabile una cosa del genere. In America apparirebbe un attentato alla Carta costituzionale, davvero impensabile. Questa vicenda rientra chiaramente nel quadro dei tentativi di Berlusconi di blindare il suo potere contro ogni forma di vincolo, si tratti di magistratura o di stampa. Dobbiamo però anche dire che in gran parte del mondo occidentale questa dialettica tra mondo politico e informazione c’è. Purtroppo da noi molti politici hanno una visione oligarchica. E sono ben felici di un colpo assestato a quelle “canaglie” dell’informazione, anche se certe dichiarazioni vengono fatte con meno virulenza rispetto a Berlusconi e i suoi uomini. Ma non dimentichiamo quello che più di una volta D’Alema ha gridato contro i giornalisti.

Anche il presidente della Repubblica sarà di fronte a un bivio.

Tutti attendono la decisione che prenderà Napolitano, ma mi pare che in passato abbia avuto un’attenzione significativa verso alcuni aspetti macroscopici lesivi della Costituzione. Sono certo che ci rifletterà molto. Anche perché questo non è un attacco ai giornalisti: è un attacco ai cittadini.

La Federazione nazionale della Stampa si dice pronta a uno sciopero. Ci saranno i soliti distinguo?

Io credo sia interesse della nostra democrazia chiarire che questa storia va molto al di là della congiuntura che l’ha scatenata. Per una volta non siamo divisi tra berlusconiani e anti-berlusconiani. Infatti vedo con piacere che alcuni giornalisti capaci schierati a destra hanno le stesse posizioni di colleghi capaci schierati a sinistra. Bisogna che gli organismi sindacali non colorino troppo una manifestazione che deve essere di tutti. Anche perché è un periodo di scarsa trasparenza e di dilagante corruzione. Tutti hanno citato l’episodio del ministro Scajola che, con queste norme in vigore, sarebbe rimasto sconosciuto. I cittadini che provano tanta irritazione per questi fenomeni, devono avere ben chiaro che per reagire bisogna sapere. Il giornalismo italiano non è mai stato uno straordinario cane da guardia della democrazia. Ma ora bisogna avere coscienza che saperlo essere è una questione di sopravvivenza. Non di una categoria. Della democrazia.

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