lunedì 31 maggio 2010

L'eterna attesa della Lega


LUCA RICOLFI

Sono giorni decisivi per il futuro della Lega. A nessun partito italiano, credo, è mai successo di vedere la propria ragion d’essere messa così a rischio. Alla Lega, invece, sta succedendo. Nei prossimi 12 mesi la Lega si gioca tutto. E la manovra di questi giorni è la prima, vera, prova del fuoco.

La ragione è semplice. Negli ultimi 10 anni la Lega è stata sempre al governo, eccetto la breve parentesi dell’esecutivo Prodi, rimasto in sella per meno di due anni. La Lega esiste per far passare il federalismo, ed ha già mancato l’obiettivo una volta, nel 2005, quando provò ad imporlo a colpi di maggioranza, salvo dovervi rinunciare appena un anno dopo, nel 2006, quando il referendum confermativo cancellò quella riforma. In questa legislatura è già riuscita a far passare la legge 42 del 2009, che contiene i principi generali del federalismo, ma è dannatamente indietro su tutto il resto: decreti delegati (c’è solo quello sul federalismo demaniale), riforma dei bilanci pubblici (mancano i decreti delegati), basi di dati aggiornate (siamo fermi al 2008), piani dettagliati di riduzione degli sprechi (manca quasi tutto).

Ora si mette di mezzo anche la manovra di aggiustamento dei conti pubblici, che di federalista sembra contenere ben poco.

Di qui l’imbarazzo della Lega, che non può permettersi un secondo fallimento. Questo imbarazzo, tuttavia, si manifesta in modi molto diversi ai vari livelli dell’organizzazione. I politici che hanno maggiori responsabilità, in particolare ministri e governatori neo-eletti, tentano di rassicurare gli elettori ma sono a corto di argomenti. Quando Calderoli, anziché provare a spiegare in che modo la manovra tutelerebbe le ragioni del Nord, si giustifica dicendo che «la Lega non avrebbe mai potuto votare una manovra economica che potesse in qualche modo mettere a rischio il federalismo», di fatto invoca una delega in bianco, una sorta di fiducia ad occhi chiusi. Posso testimoniare, perché proprio in questi giorni ho avuto occasione di incontrare molti politici e amministratori locali del Nord, spesso appartenenti o vicini alla Lega, che questa fiducia non c’è affatto, e c’è invece molta preoccupazione. Tutti capiscono che i massimi dirigenti della Lega non possono dire in pubblico tutta la verità, ma molti temono che, alla fine, il federalismo non si potrà fare o non funzionerà. Non a caso, negli ultimi giorni, gli unici politici che hanno denunciato in modo chiaro il rischio che il federalismo finisca in un vicolo cieco sono stati i governatori della Lombardia (Formigoni) e dell’Emilia Romagna (Errani), ossia due politici che guidano le regioni più vessate del Paese (secondo le mie stime il loro credito verso le altre regioni è di 40 miliardi di euro l’anno), ma soprattutto due uomini che non si sentono tenuti a «coprire» il governo centrale e la Lega (Formigoni è del Pdl, Errani è del Pd). È paradossale, ma i difensori più risoluti del federalismo stanno diventando i politici non leghisti del Nord, perché solo essi capiscono le buone ragioni della Lega e nello stesso tempo non sentono l’obbligo di difenderne l’operato.

Ma al di là del dramma che molti amministratori locali vivono, è la base leghista che in questo momento vive un passaggio cruciale. Il militante della Lega, è stato osservato da più parti, per diversi aspetti assomiglia al militante comunista dei tempi di Berlinguer. È onesto, appassionato, sacrifica il suo tempo e le sue energie alla causa in cui crede. E, come il militante del vecchio Pci, ha una stella polare, che qui si chiama federalismo, mentre là si chiamava socialismo. C’è una differenza fondamentale, tuttavia, su cui forse i dirigenti della Lega farebbero bene a meditare. I partiti socialisti e comunisti hanno potuto tenere i loro militanti incatenati ai loro sogni per più di un secolo perché, in attesa del «sol dell’avvenire», si erano mostrati capaci di guadagnare ai ceti subordinati una straordinaria sequenza di conquiste, sui diritti sindacali e politici, sull’orario di lavoro, sui salari, sulla previdenza, sulla sanità, sulla salute in fabbrica. Il militante comunista degli Anni 60 e 70 era spesso un idealista, ma nello stesso tempo toccava con mano robusti assaggi di ciò cui aspirava: una società più giusta, in cui il lavoro avesse piena dignità e rispetto.

Il militante leghista è meno fortunato. I suoi obiettivi ultimi non sono poi così diversi da quelli del tipico militante Pci, solo che lui, anziché essere un operaio, spesso è un artigiano, un lavoratore autonomo, una partita Iva, o semplicemente un ex operaio che si è messo in proprio. Anche chi vota Lega sogna una società più giusta, in cui il lavoro, la responsabilità e il sacrificio non siano mortificati ogni giorno. E tuttavia il sogno del simpatizzante della Lega non è né ultraterreno, né lontanissimo nel futuro, ma molto concreto, qualche volta fin troppo. Gli hanno fatto credere che il federalismo (a differenza del socialismo), si può ottenere in pochi anni, e che allora - quando il federalismo sarà realtà - i produttori potranno ritornare in possesso di quello cui hanno diritto, i frutti del loro lavoro saccheggiati dalle tasse e dagli sprechi. Nel frattempo, però, non gli hanno fornito né gloriose conquiste, né robusti premi di consolazione, ma solo una grande promessa, il federalismo come realizzazione di un ideale di giustizia territoriale.

Per questo, ora che il federalismo è in forse, anche il consenso alla Lega e al governo vacilla, come rivelano gli ultimi sondaggi di Renato Mannheimer. Proprio perché finora ha ottenuto ben poco, la pazienza dell’elettore della Lega non può essere (quasi) infinita come lo era quella dei vecchi, eroici, militanti del partito comunista. I leghisti sono persone concrete. Il dubbio è che i loro dirigenti non siano, a loro volta, abbastanza concreti per accorgersene.

4 commenti:

Francy274 ha detto...

Non so quanto ci sia di vero nell'immagine del leghista stilata da Ricolfi. Gironzolando su internet nei vari blog e siti di questi simpatizzanti-fanatici non riscontro i grandi ideali pari a quelli del vecchio simpatizzante del PCI che aveva come leader un Enrico Berlinguer, non mi pare che mirino ad uguali diritti per tutti ma piuttosto a ponderosi "diritti-divini" per ogni singolo leghista.
Nei loro post e commenti leggo molto nazi-fascismo, quindi i dirigenti della Lega hanno dei carboni accesi fra le mani, e a dar loro fuoco sono gli stessi che diriggono il partito.
Già.. chi suonerà per primo la campana?

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

BISOGNA SAPERE CHI E' LUCA RICOLFI. PER SAPERLO BASTA CONSULTARE WIKIPEDIA. CIO' PREMESSO,
LUCA RICOLFI ANALIZZA (ANALISI PERFETTA) I MECCANISMI CHE GOVERNAVANO IL POPOLO DEL PCI (L'IDEALE DEL SOCIALISMO) E GOVERNANO OGGI IL POPOLO DELLA LEGA (IL MIRAGGIO DEL FEDERALISMO). IL POPOLO DELLA SINISTRA E'DURATO COSI' A LUNGO PERCHE' IL PCI QUALCHE RISULTATO LO PORTAVA A CASA: (OSSERVA RICOLFI: "I partiti socialisti e comunisti hanno potuto tenere i loro militanti incatenati ai loro sogni per più di un secolo perché, in attesa del «sol dell’avvenire», si erano mostrati capaci di guadagnare ai ceti subordinati una straordinaria sequenza di conquiste, sui diritti sindacali e politici, sull’orario di lavoro, sui salari, sulla previdenza, sulla sanità, sulla salute in fabbrica. Il militante comunista degli Anni 60 e 70 era spesso un idealista, ma nello stesso tempo toccava con mano robusti assaggi di ciò cui aspirava: una società più giusta, in cui il lavoro avesse piena dignità e rispetto."). IL MILITANTE LEGHISTA INVECE NON E' COSI' FORTUNATO: (OSSERVA ANCORA RICOLFI:Gli hanno fatto credere che il federalismo (a differenza del socialismo), si può ottenere in pochi anni, e che allora - quando il federalismo sarà realtà - i produttori potranno ritornare in possesso di quello cui hanno diritto, i frutti del loro lavoro saccheggiati dalle tasse e dagli sprechi. Nel frattempo, però, non gli hanno fornito né gloriose conquiste, né robusti premi di consolazione, ma solo una grande promessa, il federalismo come realizzazione di un ideale di giustizia territoriale."). ECCO PERCHE' RICOLFI TITOLA "L'ETERNA ATTESA DELLA LEGA" E OSSERVA, NON DA SOLO, CHE LA LEGA NORD E' ORMAI ALLA PROVA DELLE VERITA', SOLO CHE DIFFICILMENTE LA PROMESSA POTRA' ESSERE REALIZZATA, PENA L'ACCENTUAZIONE DEL DISSESTO FINANZIO DELLO STATO. INSOMMA, COME DICEVANO I VECCHI CAPOCOMICI QUANDO LICENZIAVANO IL PROPRIO GRUPPO, PREVALENTEMENTE FORMATO DA DONNE: "BAMBOLE, NON C'E' UNA LIRA!". PARAFRASANDO SI DOVRA' DIRE: "LEGHISTI, NON C'E' UN CENTESIMO!". ALLORA LA LEGA NORD SARA' FINITA E ASSIEME A LEI IL PDL. PER LORO FORTUNA NON C'E' UN PIAZZALE LORETO AD ATTENDERLI.

Francy274 ha detto...

Mi ha colpito quel "onesto e appassionato".. mi ha lasciato scettica.
Perchè non li paragona ai vecchi simpatizzanti della DC? Erano onesti e appassionati come i leghisti, poi fanno parte della coalizione dei capitalisti, sarebbe più logico no??
Tutto il mio rispetto per Ricolfi ma lo stesso discorso sarebbe più adatto per i simpatizzanti dell'attuale PD con quelli del vecchio PCI, questi si che se la sono presi in saccoccia alla grande.
I leghisti si sono seduti a destra quindi dovevano aspettarselo il tradimento, a mio avviso sono tali e quali ai vecchi simpatizzanti della DC. che per un secolo hanno goduto dei diritti ottenuti dai militanti della parte opposta e per questo resistito tanto anche loro.
Va bbè, non volermene, sai che le mie analisi a volte sono sbilenche e campaniliste ;)

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

PERCHE' LA DC NON ERA COSI', IL PCI SI.