lunedì 31 maggio 2010

Stesso processo, ma regole diverse "Norma transitoria incostituzionale"


In queste ore la passano ai "raggi x" i finiani e il Quirinale. Perché potrebbe nascondere, nella sua irragionevolezza, la pecca d'incostituzionalità più smaccata nella riforma delle intercettazioni. Un capoverso che Antonio Di Pietro ha già liquidato così: "Ce l'hanno messo per salvare la cricca". Regola l'entrata in vigore delle norme, la cosiddetta norma transitoria che tante volte ha celato il trucco per incidere sui processi in corso. Dice il testo: "Le disposizioni di modifica del codice di procedura penale non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore in relazione ai quali sia già stato emesso il decreto di autorizzazione allo svolgimento delle operazioni. In tal caso, le medesime non possono ulteriormente proseguire per un tempo superiore al termine massimo di durata previsto". Quindi, in realtà la legge si applica e le intercettazioni attive possono durare al massimo 75 giorni.

In commissione Giustizia al Senato la capogruppo del Pd Silvia Della Monica, ex pm a Firenze e Perugia, ha detto alla maggioranza: "Cosa direte a quel magistrato che grazie alle intercettazioni ha trovato il complice dell'assassino, ma per il primo potrà portare in giudizio mesi di ascolti, mentre per il secondo dovrà accontentarsi al massimo di 75 giorni?". E ha chiuso: "Questa è una norma che non reggerà il giudizio della Consulta. Pioveranno i ricorsi, perché è manifesta la sua incostituzionalità: state violando il principio di ragionevolezza".

Un ex pm, e adesso un avvocato. Della violazione di un altro principio, quello della parità di trattamento, ha parlato Luigi Li Gotti, il legale della famiglia Calabresi nel processo Sofri: "C'è una regola imprescindibile nel diritto. Tempus regit actum, si applicano le norme processuali in vigore nel momento in cui l'atto è stato commesso. La dottrina è univoca: applicare norme contrastanti nello stesso processo crea solo confusione. Per questo, quando nell'89 entrò in vigore il nuovo codice di procedura penale, le norme transitorie stabilirono che si sarebbe applicato solo ai nuovi processi. Quello Sofri fu fatto con le vecchie regole, tant'è che non si usò la cross examination".

E invece adesso il doppio binario entra di forza nelle inchieste. L'imputato A potrà subire ascolti per due anni, ma l'imputato B solo per 75 giorni. Per il primo la Corte avrà più elementi di prova, per il secondo di meno. Non si viola il principio di uguaglianza? Il sospetto dell'opposizione è forte: la norma è stata scritta per incidere sulle inchieste in corso, per bloccare le intercettazioni che a Perugia, Bari e Roma, nelle inchieste su appalti, mala sanità e Mockbel potrebbero ancora riservare sorprese.

Alla Camera, si prepara a dare battaglia Donatella Ferranti, capogruppo Pd in commissione Giustizia, anche lei una ex pm. Che legge il testo e commenta: "Ma davvero l'hanno scritto proprio così? È un'evidente forzatura perché colpisce l'efficacia dell'autorizzazione del giudice a fare l'intercettazione, ma secondo le vecchie regole". I suoi colleghi, nelle procure, non nascondono lo sconcerto. Dice un pm assai noto: "Ho avviato la mia inchiesta costruendo una strategia processuale che razionalizza gli strumenti che il codice mi autorizza ad usare. Secondo pesi e contrappesi. Non possono, all'improvviso, decurtarmene uno concedendomi un tempo di ascolti risibile".

Il punto è: favorisce le inchieste in corso oppure no? Per certo gli avvocati già si fregano le mani. Confida uno: "Ne approfitterò per i miei clienti appena esce in Gazzetta. Chiederò di non poter utilizzare contro il mio assistito tutte le intercettazioni oltre i 75 giorni". Sarà la paralisi.

"Inchieste in corso? Ma per favore... Il Quirinale ci ha chiesto di cambiare la formula precedente, che rischiava, quella sì, di creare una disparità di trattamento. Noi ci siamo adeguati". Così replica nel centrodestra chi ha lavorato alle modifiche, leggendo a voce alta la vecchia norma transitoria: "La legge non si applica ai processi pendenti alla data della sua entrata in vigore". Ma il Colle paventò il dubbio che potevano nascere inchieste "truffa", aperte solo per anticipare la legge. Ora il rischio resta, e c'è pure il fumus che il premier voglia dare una mano alla cricca.

(30 maggio 2010)

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

'STO QUIRINALE PASTICCIONE!