Le diverse sentenze della Cassazione, a sezioni riunite, hanno di volta in volta costruito riferimenti giurisprudenziali utili. Manca ancora il sostegno di norme del codice penale che sanciscano il profilo netto del reato
di CARLO CIAVONI
La sentenza d'Appello che condanna a 7 anni di carcere il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, per concorso esterno in associazione mafiosa, riaccenderà molto presto il lungo e complesso dibattito dottrinale sul profilo giuridico di questo reato associativo. Dibattito che s'impose durante la lunga stagione terroristica vissuta nel nostro Paese. Gli studiosi si dividono da anni sulla sua definizione, fino a spingere le contrapposizioni su due fronti estremi: il primo che assimila le condotte di chi è parte integrante dell'associazione mafiosa, con quelle di chi partecipa solo occasionalmente, ma in piena coscienza, alla societas sceleris. Il secondo con una visione delle cose che invece traccia un identikit differente del sostenitore esterno, basando prima di tutto il ragionamento sul concetto di legge penale, ereditata dal Diritto Romano, secondo il quale non c'è né crimine né pena senza legge scritta.
In assenza di una norma del codice penale, da un reato del genere, dicono altri insigni giuristi, si è dentro o si è fuori: non ci possono essere alternative in uno stato di diritto, che trae origine da solidi principi Costituzionali.
Sul concorso esterno ci sono stati finora soltanto pronunciamenti delle sezioni riunite della Corte di Cassazione. In tutti i casi sono state messe in rilievo le lacune legislative, da colmare con norme capaci di individuare soprattutto un aspetto: e cioè i comportamenti di una persona la quale, pur non facendo parte organica di un'associazione criminale, con la sua condotta, di fatto, finisce per consentire il raggiungimento degli "obiettivi delittuosi". In assenza di un profilo giuridico netto del reato di concorso esterno, dunque, la discussione dottrinale fra studiosi e operatori del diritto prosegue.
L'orientamento prevalente, al momento, nella ricerca della definizione di una condotta "partecipativa interna" distinta da quella "esterna ed eventuale", considera decisivi due elementi: quello oggettivo, cioè l'inquadramento stabile nella cosca mafiosa e l'elemento psicologico, decisamente più evanescente, identificabile nel dolo che si sostanzia nella coscienza di appartenere organicamente ad un progetto criminale, aggiunto al ruolo specifico nella concreta attuazione del reato. Fino a quando non sarà colmato il vuoto legislativo, tuttavia, nonostante i pronunciamenti della Cassazione, il profilo di questo reato rimarrà opaco e sfumato.
(29 giugno 2010)
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