lunedì 7 giugno 2010

La sfiducia dei mercati verso l’Italia non è tutta colpa dell’Ungheria


LA CAUSA SONO LE DEBOLEZZE ITALIANE E LA MANOVRA INSUFFICIENTE

di Superbonus

Adesso Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti diranno che è colpa dell’Ungheria, che è colpa di chi ha fatto entrare la Grecia in Europa e anche che è colpa degli “speculatori” se la situazione economica si aggrava e sarà necessaria una nuova manovra o un'integrazione di quella in discussione.

Ma questa è una menzogna, la manovra che verrà – non questa da 25 miliardi di euro appena approvata dal governo, ma la prossima, quella che deve ancora essere annunciata – è necessaria per i seguenti motivi:

a) nella Finanziaria presentata a ottobre 2009 il ministero dell'Economia ha correttamente previsto la crescita del Pil per il 2010 ma l’ha volontariamente mantenuta troppo alta per il biennio successivo;

b) passate le elezioni regionali in cui si prometteva “la cura contro il cancro” si sono riviste le stime di crescita del 2001/2012 dal 2% al 1,5% e si è evidenziata la necessità della manovra da 24 miliardi;

c) la manovra pubblicata in Gazzetta ufficiale riuscirà a racimolare a mala pena 20 miliardi la maggior parte dei quali derivano dai tagli agli enti locali che si trasformeranno in tasse indirette sulla popolazione;

d) semplicemente per mantenere gli impegni con l’Europa e soprattutto con gli investitori saranno necessari altri 20 miliardi di manovra nel prossimo biennio.

Il mercato non è convinto che il governo Berlusconi sia in grado di affrontare tagli alla spesa o aumenti delle imposte di queste dimensioni ed è per questo e solo per questo che sono sempre meno gli investitori disposti a comprare i nostri titoli di Stato.

Il differenziale di rendimento (spread) dei Btp sui Bund tedeschi a 2 anni è passato dal 1,48% prima della manovra al 1,72% all’indomani della pubblicazione della stessa sulla Gazzetta ufficiale. Quando l’Ungheria ha annunciato le difficoltà ad onorare i propri debiti il differenziale è aumentato dello 0,08% a 1,80%.

Lo Stato Italiano ha una durata media del debito di 7 anni, quindi ogni anno ricorre ai mercati finanziari per rifinanziare un settimo del proprio debito chiedendo in prestito 250 miliardi. La crisi ungherese, calcolando un effetto più che doppio rispetto a quello registrato fino ad ora, inciderà al massimo sui conti dello Stato per 64 milioni per i prossimi 7 anni così come la crisi Greca inciderà per 150 milioni. A conti fatti la spesa aggiuntiva derivante dall’aumento del “rischio Italia” è ampiamente mitigata dalla discesa dei tassi d’interesse che ne annullano di fatto l’impatto. Quindi non si può dare la colpa a loro.

Il governo sta cercando di nascondersi dietro una situazione difficile dei mercati finanziari per giustificare le sue carenze di politica economica e di eccesso di spesa pubblica. La conferenza stampa di presentazione della Manovra economica nella sala stampa di Palazzo Chigi il 25 maggio, è la migliore rappresentazione della situazione della spesa pubblica italiana.

Le parole “abbiamo rinviato il taglio delle tasse” agli operatori finanziari sono sembrate ridicole e pericolose, perché pronunciate da un presidente del Consiglio che nega l’evidenza e non prende atto che gli investitori hanno presentato una mozione di sfiducia nei suoi confronti con conseguenze per il paese molto più gravi di una semplice caduta del governo.

Non siamo di fronte ad una crisi finanziaria emotiva nella quale prevale l’irrazionalità della reazione alla cattiva notizia (Ungheria, Grecia ecc.), ma dobbiamo affrontare la sfiducia degli investitori nella capacità del nostro paese di abbassare deficit e debito, per questo motivo non è in discussione il tasso d’interesse che il Tesoro pagherà, ma le stesse linee di credito al sistema Italia iniziano ad essere viste con un occhio differente.

Le parole di Tremonti ad Annozero, giovedì sera, peggiorano la situazione: gli investitori vogliono misure concrete e subito, vogliono sentire parole chiare sullo stato dei conti e sulla vera entità delle manovre da mettere in campo, e ad ogni occasione mancata in cui il governo invece di annunciarle parla d'altro, cresce la loro inquietudine.

Per questo motivo i prezzi dei Btp continueranno a scendere nelle prossime settimane e tutte le oche del Campidoglio affolleranno le televisioni per gridare contro gli “speculatori”.

Ma alla fine faranno una cosa semplice semplice che produrrà un gettito di cassa immediato: aumenteranno le aliquote Iva così anche il leader della Cisl Raffaele Bonanni potrà finalmente dire che “sono stati colpiti i consumi e non i redditi”. Proprio una bella soddisfazione.

5 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

MICIDIALE E ILLUMINANTE L'ANALISI DI SUPERBONUS. INSOMMA. SO' CAZZI AMARI!

Francy274 ha detto...

Dovevamo aspettarcelo Luigi, Grillo non ne ha mai sbagliata una ogni scandalo, ogni retrocessione finanziaria, ogni imbroglio li aveva denunciati sempre prima che venissero alla luce .. Ricordi quando disse sui media e in TV che nel 2011 saremmo diventati una nuova Argentina? Ebbene, qualcuno lo ha ascoltato?.. Nessuno ama ascolare Cassandra, Troia fu distrutta in una notte per non averle dato retta.. noi in 18-anni.. ma abbiamo agonizzato con enfasi!

Anonimo ha detto...

L’analisi di Rizzo mi sembra, come sempre, precisa e sostanzialmente giusta.
Aggiungerei due considerazioni, che non sono certo una novità ma che tendono ad essere sottovalutate.
Quando i mercati mostrano la propria sfiducia nei confronti di un Paese, la causa non è quasi mai una soltanto.
L’Italia sta vivendo un periodo nel quale, nonostante l’aspetto ufficiale di Stato occidentale industrializzato basato sulla concorrenza e sul libero mercato (pur con le limitazioni imposte, giustamente, da esigenze sovranazionali che governano l’economia), la percezione reale si avvicina di più a quella di una dittatura latinoamericana. Dove ciò che conta realmente non è la capacità di un’impresa di stare sul mercato con la propria offerta e la capacità di questa offerta da un lato di soddisfare la domanda e dall’altro (in una certa misura, come insegnava Keynes) formarla essa stessa, bensì l’opportunità di far parte di cordate, gruppi, lobby, costruite sulla contiguità, quando non sulla collusione, con la politica.
Si ha la sensazione, all’esterno, che in Italia la capacità di fare impresa sia direttamente proporzionale con quella di comprare le condizioni necessarie alla sopravvivenza. L’acquisto non passa solo attraverso la “classica” corruzione, il passaggio di denaro, ma anche – e forse soprattutto, in termini statistici – attraverso la possibilità di ottenere un’interpretazione favorevole, elastica, ad personam, delle regole. E ciò è anche giustificato da un alibi: le regole esistenti sono sbagliate. L’alibi è vero: le regole sono sbagliate.
Il punto è che chi dovrebbe sostituirle con quelle giuste si guarda bene dal farlo. Se lo facesse verrebbe meno la possibilità di servirsi del mercato, dell’impresa privata, per creare quelle occasioni di crescita, di investimento, di sviluppo, che dovrebbero essere invece – almeno in parte – create in autonomia dalla buona amministrazione.
Il Paese ha dismesso gli abiti del conducente per indossare quelli, molto più comodi, del passeggero. Si badi bene: non è un comportamento anomalo. Lo stigmatizzò già Esopo, poi Fedro e infine La Fontaine.
Chi ricorda la favola della mosca cocchiera? Un carrozzone tirato da sei cavalli saliva su per una via erta, rotta, sabbiosa. I viaggiatori erano scesi e facevano a piedi il tratto di strada per alleggerire ai cavalli il peso e la fatica; tuttavia i cavalli sudavano e soffiavano. Sopraggiunse una mosca. "Per fortuna sono arrivata io! " esclamò. E cominciò a ronzare negli orecchi degli animali, a pungere ora questo ora quello, or sul muso or sul dorso. Poi si sedette sul timone, poi si posò sul naso del cocchiere, poi volò sul tetto della carrozza. Andava, veniva, affannata, e brontolava e squillava: "Bel modo di fare! Se non ci fossi io! Guarda! Il prete legge il breviario. Quella donna canta. Quei due parlano dei loro affari. Il cocchiere sonnecchia. A darmi pena sono io sola. Tocca a me far tutto. Tutto cade sulle mie spalle. Ah che lavoro!" Finalmente dalli e dalli, la carrozza giunse al termine della salita, dove ricominciava la via piana. I viaggiatori ripresero il loro posto; il cocchiere fece schioccare la frusta; i cavalli si rimisero al trotto. Sul tetto del carrozzone la mosca trionfava. "Li ho condotti, eh, fin quassù! Se non c’ero io!" - si lagnava. "Nemmeno grazie mi dicono. Dopo tutto ciò che ho fatto."
Ecco, l’Italia viene percepita così, dai mercati esteri. Chi non ha massaggiatrici da offrire ai dirigenti della protezione civile può sognarsi le opere pubbliche. Proprio come capitava a chi, nel tardo impero romano, non aveva regali per Cesare Augusto. Fosse anche semplicemente un gioiello per una concubina. Proprio come capita a chi non ha regali per il dittatore di Banana Republic (per citare De Gregori-Dalla).
Roberto Ormanni.(continua)

Anonimo ha detto...

Entrare nelle grazie dell’imperatore significa, anche, poter tralasciare problemi come il pessimo funzionamento della giustizia. In un libero mercato la giustizia è ingrediente fondamentale perché la sua efficienza, da sola, funge da deterrente e induce, almeno potenzialmente, comportamenti corretti (ce lo ha insegnato, non proprio negli ultimi giorni e senza bisogno di incursioni telefoniche a Ballarò o Annozero, Cesare Beccaria). Ma della giustizia ci si occupa, e ci si preoccupa, non perché, o quando, non funziona, ma quando funziona in modo che non piace all’imperatore e alla sua corte dei miracoli. Tutto ciò, come se non bastasse, viene affiancato, sostenuto e rafforzato da atteggiamenti che solo negli anni Settanta portavano alle dimissioni di presidenti della Repubblica.
In fondo il colpo di grazia a Giovanni Leone, almeno nella percezione popolare, lo dette non solo e non tanto il libro di Camilla Cederna sullo scandalo Lockeed, bensì la foto che ritraeva il marito di donna Vittoria fare le corna, protetto – secondo lui – da un parapetto presidenziale, alle malauguranti contumelie degli universitari di Pisa. Perché? Perché è disdicevole che un Capo di Stato reagisca come un venditore di frutta al mercato.
Oggi invece un presidente del Consiglio, in occasione di una ricorrenza istituzionale come la festa della Repubblica, ammicca alle telecamere e al pubblico facendo segno verso una crocerossina a suo parere particolarmente dotata di seno. Allora il punto è questo: trasformare un Paese in un prolungamento dello studio televisivo di Ciao Darwin o della Pupa e il Secchione, quali effetti può avere sui mercati?
Che effetto può avere sui mercati la sensazione che il famoso partito-azienda abbia trasformato il Paese in una succursale?Povero chi ha davvero creduto che l’imprenditore capace di gestire la sua impresa fosse per ciò stesso capace di amministrare il Paese con lo stesso profitto. O meglio, forse il problema è proprio che la regola del profitto è esattamente la stessa: il profitto dell’imprenditore.
Sbaglia chi crede che queste riflessioni e gli errori nelle strategie puramente economiche appartengano a due mondi distinti: non c’è niente di distinto in questo fiume globale che tutto trita e trascina. Certo, ha il suo peso, non marginale, una manovra economica tutto fumo e niente arrosto. Ma da sola questa, temo, non basterebbe.
In fondo, i mercati guardavano con più interesse all’Italia del 1950 – che di manovre economiche aveva solo la Marshall – di quanto non facciano oggi.
Poi un ingegnere decise che era giunto il momento di dare all’economia italiana anche l’unica cosa che, al tempo, l’avrebbe affrancata: il petrolio. Ma il suo aereo precipitò. Si chiamava Enrico Mattei.
Roberto Ormanni

Anonimo ha detto...


GRANDE R. O.!!!

Madda