domenica 27 giugno 2010

A sera il ministro getta la spugna "Troppi attacchi dai miei alleati"


Ci ha pensato tutta la giornata. Ai suoi collaboratori diceva: "Sono nelle mani di Berlusconi, sarà lui a decidere il mio futuro". Alla fine, quando l'onda delle polemiche sembrava travolgerlo, ha deciso. Aldo Brancher rinuncia allo scudo ministeriale nel processo Antonveneta. "Così mi sento più tranquillo", confidava in serata, "a questo punto credo di avere tolto ogni retropensiero a chi ha montato questa speculazione ignobile".

Il neo ministro ha deciso al termine di una giornata per lui drammatica, nella quale la sua figura si è trasformata nel possibile punto di rottura della maggioranza e ha messo in crisi la stessa tenuta del governo. Al punto che le pressioni che dal Canada gli ha fatto recapitare il premier Berlusconi, le condanne dei finiani, il gelo della Lega, le richieste di dimissioni dell'opposizione e le critiche dei pm milanesi lo hanno portato al clamoroso passo indietro: tra due lunedì, il cinque luglio, sarà in aula per rispondere alle accuse dei pm.

Ieri Brancher ha passato gran parte della giornata a Roma, al lavoro con i suoi collaboratori negli uffici di Largo Chigi dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio. Proprio mentre al tribunale di Milano si discuteva del legittimo impedimento invocato giovedì scorso, a soli sette giorni dalla promozione a ministro. Scosso dalla bufera ha cercato di concentrarsi sui prossimi impegni - relazione sul federalismo in testa - e si è cucito addosso quelle deleghe ministeriali che il pm milanese Eugenio Fusco in udienza ha detto di non conoscere. "Le deleghe il pm non ce le ha chieste - ribattevano i suoi collaboratori - comunque sono quelle approvate dal consiglio dei ministri il 18 giugno e proprio oggi le stiamo limando con il ministro Fitto perché ci potrebbero essere alcune sovrapposizioni di competenze sulla sussidiarietà. Tutto risolto e a giorni saranno pubblicate dalla Gazzetta ufficiale".

Ma i problemi, quelli veri, erano altri: la spada di Damocle delle dimissioni che, comunque, non si poserà fino a quando Brancher non avrà parlato con il premier Silvio Berlusconi, a Toronto per il G8. Dimissioni? Rinuncia al legittimo impedimento? Alle sette del pomeriggio Brancher rispondeva ancora così: "Ci sto pensando". Rinviando mesto alla fatidica telefonata con il Cavaliere. Appena atterrato a Milano, poco prima di cena, (oggi lo attende una manifestazione sul Lago di Garda) Brancher si sentiva "confortato" dalle smentite di Bonaiuti delle ricostruzioni giornalistiche che davano Berlusconi orientato per le dimissioni. Così come era contento delle dichiarazioni del premier, che da Toronto definiva il suo caso "una piccola questione". Ma quella telefonata dal premier, al contrario delle mille pressioni, non era ancora arrivata. Così stretto tra le bordate dell'opposizione - pronta a chiederne l'impeachment - e l'irritazione di finiani e leghisti - orientati ad abbandonarlo in Parlamento - le dichiarazioni canadesi non sono riuscite a rasserenarlo completamente.

È stato a questo punto che - "con una scelta del tutto autonoma", assicura - ha optato per la più plateale delle mosse. "Il ministro Aldo Brancher rinuncia al legittimo impedimento, ha deciso di acconsentire lo svolgimento dell'udienza del cinque luglio", hanno annunciato gli avvocati Filippo Dinacci e Piermaria Corso. Che hanno aggiunto: "La scelta di far valere il legittimo impedimento era stata presa perché pensava fosse suo dovere, almeno nel primo periodo di mandato, dare un impulso determinante a quelle riforme di cui il paese ha bisogno e che il governo gli chiedeva di velocizzare. Per questo si era messo a disposizione della magistratura a partire dal sette ottobre prossimo, ritenendo che per quella data avrebbe potuto completare buona parte del programma di lavoro". Ma poi le polemiche, le richieste di dimissioni, l'atteggiamento freddino di molti alleati di governo (fatti definiti dagli avvocati "reazioni sopra le righe"), quella telefonata dal Canada che non arrivava, hanno convinto il ministro a cambiare idea: ferma restando, concludo Dinacci e Corso, "la necessità di rivedere il programma delle udienze in relazione agli ordinari impedimenti parlamentari e di governo che non consentano la partecipazione di Brancher". Un chiaro tentativo di abbassare la tensione provocata da "un caso vergognoso montato ad arte contro di me, che non voglio sfuggire a niente". E, ovviamente, affrontare con maggior serenità i prossimi giorni e le polemiche destinate a dominare ancora i media. Forte di un gesto che, spera Brancher, dovrebbe evitargli le dimissioni.

(27 giugno 2010)

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