giovedì 24 giugno 2010

“Una rinuncia della Fiat sarebbe molto grave”


TITO BOERI, ANIMATORE DE LAVOCE.INFO, SPIEGA COME SUPERARE LA CONTRAPPOSIZIONE TRA AZIENDA E SINDACATI

“Sarebbe molto grave se la Fiat rinunciasse all’investimento a Pomigliano perché nel referendum non c’è stato un plebiscito dei sì”, dice Tito Boeri, economista della Bocconi e animatore del sito lavoce.info.

Professor Boeri, cosa cambia nella vicenda di Pomigliano dopo il referendum?

C'è stata un'alta partecipazione al referendum e questo indica che dovrebbe essere una soluzione a cui fisiologicamente si ricorre quando i rappresentanti dei lavoratori non hanno tutti la stessa posizione. Ma il fatto che non ci sia stato plebiscito dimostra che nell'accordo ci sono diversi punti anomali. Non può certo diventare uno standard per altri contratti collettivi, come proposto dal ministro del Lavoro che farebbe bene, peraltro, a non prendere posizione in questi negoziati.

Quali sono le anomalie?

Due: la prima riguarda la clausola di tregua, che rende sanzionabile lo sciopero contro gli straordinari previsti dall'accordo, estesa ai singoli lavoratori. Non sarebbe necessario con una diversa organizzazione delle relazioni industriali. I lavoratori dovrebbero eleggere rappresentanti che poi trattano e, se sottoscrivono un accordo, questo diventa vincolante per tutti, come avviene già oggi quando i sindacati si trovano tutti d’accordo. Qualora i rappresentanti eletti dai lavoratori non trovassero un accordo, si dovrebbe invece andare al referendum. Il problema è che in Italia non c'è una legge sulle rappresentanze nonostante se ne parli dai tempi di Nenni.

Poi ci sono le misure contro l'assenteismo.

Questa è la seconda anomalia che riguarda la questione delle assenze per malattia. Il problema è che a Pomigliano c'è un basso livello di capitale sociale e alcuni lavoratori, con il loro comportamento opportunistico, mettono a rischio l'efficienza dell'intero impianto. Quindi è comprensibile che si cerchi di ripristinare il principio della franchigia che esisteva in Italia prima degli accordi nel 1972, quando l'azienda non pagava i primi tre giorni di malattia. Il superamento della franchigia è stato possibile perché nel settore privato i lavoratori non abusano delle assenze per malattia: abbiamo uno dei tassi di assenteismo più bassi dell’area Ocse. Ma a Pomigliano non è così. Anche per il ruolo della criminalità organizzata.

Ma c'è ancora margine per intervenire su questi punti o l'accordo è blindato?

Se la Fiom sottoscrivesse tutto l'accordo tranne la clausola di tregua, renderebbe tale clausola non più necessaria. Del resto, il testo inizialmente proposto dalla Fiat, non la prevedeva. In ogni caso, la cosa importante è che da questa vicenda sia i sindacati che la politica traggano l'unica vera implicazione nazionale: cioè che si debba approvare rapidamente una legge sulla rappresentanza.

Il fatto che non ci sia stato un plebiscito, come sembrava auspicare la Fiat, legittima a mettere in discussione l'investimento?

Mi auguro che l'investimento si faccia, anche se non c'è stato il plebiscito. Sarebbe davvero molto grave, in un Paese che già fatica ad attrarre investimenti esteri diretti, una rinuncia della Fiat a investire a Pomigliano. Date le anomalie dell’accordo, bisogna chiedere al Lingotto, di concerto con le organizzazioni dei lavoratori, di impegnarsi per rendere non necessaria la clausola sulla malattia, con una campagna di informazione presso i lavoratori e la comunità locale sui costi collettivi dell'assenteismo. Sarebbe anche un modo con cui la Fiat ripaga parte dei debiti contratti con lo Stato italiano che ha copiosamente aiutato l’azienda torinese (e continua a farlo, anche se speriamo per poco).

Il “metodo Pomigliano” farà scuola?

Non credo. Le pressioni competitive sono fortissime, non solo nel caso di Fiat, e quindi il potere contrattuale dei lavoratori è limitato. Mi stupiscono comunque tutte queste preoccupazioni sulla globalizzazione solo nel caso di Pomigliano e non quando ci sono licenziamenti di fatto di centinaia di migliaia di lavoratori che hanno salari bassissimi, nessun ammortizzatore sociale e in prospettiva pensioni molto ridotte. Ci sono forze politiche e sindacali che non fanno nulla per combattere il dualismo del nostro mercato del lavoro, tollerando situazioni in cui molti diritti, davvero di base, vengono sistematicamente violati. Bando allora alle ipocrisie.

È inevitabile che per ridurre il debito pubblico, senza lasciar correre l'inflazione, si comprimano i salari o si cerchi di aumentare la produttività?

È inevitabile avviare un rientro dal debito pubblico, siamo in una fase nuova della crisi: oggi è il debito pubblico nel mirino, non più quello privato. È giusto perciò che ci siano pacchetti di misure, ma il problema è la qualità di questi pacchetti. La nostra è una manovra senza qualità che sta perdendo progressivamente quantità. È un modo ragionieristico di concepire il rientro del debito, concentrandosi solo sul numeratore, il debito, e ignorando il denominatore, cioè il Pil, dimenticandosi del problema centrale del nostro Paese: la bassa crescita.

(Ste. Fel.)

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