lunedì 28 giugno 2010

VIAGGIO NEL BUIO DEL PD


Un decreto che espropria la cultura e rivela tutta la sua non costituzionalità Eppure solo l’Idv si è opposta

di Furio Colombo

Come la statua di un Buddha, assorto e immobile, il ministro Bondi siede al centro di un Parlamento che sembra un oggetto smontato e rimontato in fretta. Le parti non corrispondono, sporgono in modo sbagliato, restano in bilico. Bondi non siede al centro, naturalmente. È stato depositato al banco del governo durante tutto il giorno (23 giugno), tutta la notte, tutto il giorno successivo, lato ovest della Camera dei deputati. Ma dà l’impressione di essere al centro, a causa del suo trionfo. Risuonano per lui voci autorevoli, da destra e da sinistra, nel senso della dislocazione fisica. Voci che dicono: “Grazie, ministro, lei sta onorando il Parlamento”. Bisogna sostare su questo strano evento perché avviene molto presto, nella lunga “seduta fiume” dedicata al suo decreto tecnicamente detto “sul riordino degli enti lirici”, ma in realtà revisione e disegno di tutta la politica culturale del Paese. Avviene quasi all’inizio. Perché, come in molti buoni spettacoli teatrali (pensate a Strindberg, pensate a Cechov) qualcosa è avvenuto prima di andare in scena e lo spettatore lo scoprirà lentamente, a mano a mano che lo spettacolo si svolge.

La seduta fiume alla Camera

Ora devo cercare di dire perché questo parlare di teatro per descrivere un giorno, una notte, un giorno di “seduta fiume” alla Camera, con i deputati presenti quasi al completo, non è una metafora. Diciamo che è uno spettacolo con la partecipazione del pubblico. Ogni tanto si alza uno spettatore del Pd, uno spettatore dell’Udc. Gli risponde, come se ci fosse un copione già scritto, uno spettatore della destra, magari Cicchitto in persona. Ma i personaggi sono Bondi, che appare fresco e sbarbato e in perfetto silenzio anche dopo una notte trascorsa in Aula (forse è sempre fresco e sbarbato); e tutti gli uomini e donne di Di Pietro che – un minuto o 30 secondi per volta – non smettono mai di battersi punto per punto, comma per comma, contro ogni frammento del materiale detto Decreto Bondi. Quando è stato deciso, con quale criterio politico, con quale “strategia d’aula” che quasi tutte le donne e gli uomini del Pd dovessero trasformarsi in composte comparse senza battute nel copione? Perché? Se lo chiedi ti rispondono che abbiamo (tutta l’opposizione guidata dal Pd) ottenuto due vittorie, officiando riti propiziatori presso il Buddha immobile. La prima è che Bondi-Buddha (credo con un cenno della grande testa glabra) ha detto sì alla richiesta del Pd di non imporre il voto di fiducia per l’approvazione del decreto, conosciuto – e respinto con passione da tutto il mondo dello spettacolo – “come riordino degli enti lirici”. In tal modo il principale partito di opposizione si è preoccupato di liberare Bondi-Buddha dall’accusa che lo avrebbe inchiodato, di votare il suo pessimo decreto senza discussione e con l’automatismo autoritario del voto di fiducia che puoi rinfacciare per sempre. Dunque discussione in aula, aperta, aspra, frontale, punto per punto, visto che nella legge Bondi ogni punto è sbagliato, ogni finta ragione tecnica o politica copre sempre un grande taglio di fondi, di paghe e di lavoro, dal grande spettacolo al precariato. L’insieme delle leggi significa una presa di possesso governativa della cultura, dopo editoria, tv, scuola, sanità, e in attesa di catturare la giustizia. Ah, ma no, dicono e ripetono colleghi e autori della strategia del Pd. In Commissione abbiamo ottenuto “modifiche importanti” nella “legge in esame”. In un istante cambia l’aria ed entra nella storia di questa opposizione la formale dichiarazione di omaggio al ministro Bondi, un primo formidabile segnale di confusione e di disorientamento per tutti gli elettori italiani: Bondi è buono, parola del Pd. Bondi, con una lieve piega di sorriso, apprezza. È come se Obama avesse concluso con un pubblico elogio l’incontro con il generale Mc-Chrystal, avversario aperto e politicamente pericoloso della Casa Bianca. Ma i cambiamenti e miglioramenti della legge? Ti dicono: “In ogni Parlamento del mondo si collabora”. Ma questo non è “ogni Parlamento del mondo”. A un certo punto (ore 16:10 del 24 giugno, 30 ore dopo l’inizio dei lavori) si presenta in aula Aldo Brancher, ministro senza portafoglio al legittimo impedimento. È come un uomo-sandwich dell’illegalità berlusconiana: ministro senza alcun incarico, pur di evitare un processo, così, allegramente, sotto gli occhi di tutti, siede al banco del governo e ti dimostra una cosa: è venuto a votare la legge Bondi che è (sarà, purtroppo, con qualche aiutino) un legittimo impedimento alla vita culturale italiana.

Infatti la lettura accurata e accorata del lungo testo che espropria la cultura lirica, musicale, teatrale dalla creatività al posto di lavoro, della sua storia, delle sue radici, del suo futuro, rivela nei dettagli e nell’insieme l’incostituzionalità del decreto. Lo ha dimostrato in aula, il giorno prima della grande corsa nel vuoto, il costituzionalista e deputato Pd Roberto Zaccaria: una lezione esemplare (era in discussione il “pregiudizio di costituzionalità”, poi regolarmente respinto da Pdl e Lega), che è stato anche il giudizio più chiaro e completo che si sia ascoltato in aula. Si può dare una mano a migliorare una legge incostituzionale, che non solo è respinta con fervore da tutto il mondo dei teatri, della musica, da Claudio Abbado ai ballerini e al coro della Scala, ma non ha sostegno in alcun luogo o gruppo o voce del mondo culturale? Si può, considerando che la legge è ritenuta incostituzionale dallo stesso partito che adesso pensa sia un bene aiutare il ministro Bondi, forse il più discusso fra i cloni di Berlusconi, a evitare l’umiliazione del voto di fiducia? Contro ciò che è stato detto a volte impropriamente in aula, credo nella buona fede e nella buona volontà di coloro che hanno lavorato con passione e competenza a migliorare qua e là aspetti di una pessima, imperdonabile legge che la Corte costituzionale cancellerà per fortuna di qui a non molto. Ma qual è, quale è stata la strategia del Partito democratico nella battaglia in aula per o contro sulla legge Bondi sugli enti lirici? Che cosa è successo? Che cosa è cambiato? A un certo punto (ore 19 del 23 giugno, dopo alcune ore di opposizione quasi solo dell’Italia dei Valori), si è vista questa scena: Casini (Udc) e Cicchitto (Pdl, ma anche a nome della Lega) sono scesi dai loro banchi a destra e saliti al banco di Franceschini a sinistra. L’accordo è stato immediato: seduta fiume. Che vuol dire, d’ora in poi, giorno e notte, seduta continua, senza alcuna interruzione. Adesso Di Pietro e i suoi dovranno parlare per tutta la notte. Così imparano. Seguono vibranti discorsi dei capi partito (non Bersani, non c’era). Memorabile Cicchitto. Ha puntato l’attenzione del mondo sulla leale collaborazione col Pd e sulla spregevole natura umana, non solo politica, dell’Idv.

La sindrome di Stoccolma dei democratici

Senza dubbio Di Pietro, immerso in tanti altri problemi, da politico abile e con un disegno preciso in mente, ha segnato un suo punto. Ma il Pd? C’è stato un faticoso lavoro in Commissione per migliorare la non migliorabile legge Bondi. Ma in aula, e davanti alle telecamere, l’opposizione tenace appare condotta solo dall’Italia dei Valori. E a momenti chi aveva partecipato, in piena buona fede con Bondi al lavoro preliminare di commissione, ha difeso Bondi in aula, come in una sindrome di Stoccolma. Intanto lo statista Casini, dopo aver chiamato alle armi non si sa bene chi e contro chi (soprattutto contro Di Pietro), è andato a dormire. E il suo gruppo “di opposizione” si è continuamente astenuto, sottraendo definitivamente un pacchetto di voti ad ogni possibile esito contro la legge Bondi in ogni singola votazione nel corso di decine di ore. E da quel momento è diventato visibile il groviglio di contraddizioni creato dalla strategia d’aula, non tutta decifrabile, del Pd.

Primo, un lavoro intenso si è svolto nelle Commissioni, luoghi invisibili e dono prezioso per Bondi, che potrà dire a Porta a Porta: “Ma se i pd hanno lavorato e votato per la mia legge?”. Secondo, l’opposizione in aula, tagliente, visibile, aggressiva, sotto gli occhi di tutti, è stata condotta in solitario esclusivamente dal gruppo dell’Italia dei Valori. Terzo, gli attacchi e gli alterchi reciproci si sono accesi spesso. Sempre fra Italia del Valori e Pd. Sempre fra gli applausi di Lega e Pdl. È un annuncio? Di che cosa? Alla fine, dopo tanta fatica e tormento, nuovi amici e nuovi nemici, il Pd ha votato contro la legge Bondi com’era giusto e inevitabile. Ma l’omaggio alla legge e al ministro della Cultura di Berlusconi era stato fatto. La statua del Buddha Pdl non è stata mai rimossa dal tempio. Nel tempio, infatti, si è celebrato il rito propiziatorio per il dio governo. E si è celebrato il sacrificio di una opposizione che sembra dispersa nel buio del fuori potere.

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