venerdì 30 luglio 2010

Berlusconi: "Dovevo togliermi un peso dallo stomaco"


AMEDEO LA MATTINA

«Cacciatemi Fini». Dopo avere a lungo tentennato, Berlusconi ha scelto la linea più dura, quella dello scontro frontale, senza mezzi termini, senza spiragli. «Basta tatticismi e teatrini da Prima Repubblica che stanno rovinando l’immagine del governo. Lui pensava di ricattarmi, di piegarmi, di tagliarmi la gola, di farmi paura facendo raccogliere le firme per i gruppi parlamentari, ma non ha capito che con me questi metodi da brigante non funzionano. Vedremo quanti parlamentari rimangono con lui». Per tutta la giornata c’è stato un balletto di documenti, con versioni più morbide che non prevedevano di puntare il mirino su Fini e la sua carica di presidente della Camera.

Un lavoro di cesello da parte di Letta, Alfano, Frattini, Mario Mauro (capogruppo degli europarlamentari Pdl) e Niccolò Ghedini. Il quale, di solito superfalco in materia di giustizia, ha fatto una lezione di diritto costituzionale al premier. Espulsione, deferimento ai probiviri? «Vorrei sommessamente ricordare - ha detto il deputato-consigliere- avvocato del Cavaliere - che nella Costituzione italiana c’è un articolo che prevedere la libertà di associazione e di pensiero. Un partito non può violare questi principi costituzionali». «E io - ha osservato Mauro - come lo spiego a Bruxelles che il Pdl, appena iscritto al gruppo del Ppe, si spacca? Come gestisco i finiani a Strasburgo?». Un ministro molto vicino a Berlusconi considera una «follia» consentire la nascita di gruppi autonomi: «Passeremmo dalla padella alla brace. Se prima era difficile governare adesso sarà impossibile. Questi nuovi gruppi saranno una calamita per molti ex Forza Italia, quelli scontenti per vari motivi. Come fa Berlusconi a non capire in cosa si sta cacciando. Ci sono cattivi consiglieri che gli fanno credere che la maggioranza è solida, tranne scoprire che alla Camera sono più di trenta i finiani». Si illude Berlusconi - aggiunge il ministro - che «Casini gli verrà in soccorso».

Niente. Il premier non ha sentito ragioni e ha preteso il massimo della durezza. «Cacciatemi Fini». Il quale, secondo il premier, ora dovrebbe prendere atto della sfiducia e dimettersi. Cosa che l’inquilino di Montecitorio non pensa proprio di fare. «La presidenza della Camera non è nelle disponibilità del presidente del Consiglio», è stata la sua risposta. Fini non molla, anzi rilancia e dà il via libera alla costituzione dei gruppi autonomi. Alla Camera ci sarebbero i numeri in abbondanza (34 finora), mentre al Senato i finiani stentano a raggiungere la quota minima di dieci, ma sembra che ci sia il soccorso di Adriana Poli Bortone e di Giovanni Pistorio dell’Mpa.

Fini aveva immaginato che i suoi parlamentari potessero rimanere dentro il confine del centrodestra con un appoggio esterno al governo. Ma Berlusconi vuole spingerli all’opposizione. Quanto ai finiani nel governo (il ministro Ronchi, il viceministro Urso e tre sottosegretari), dovranno decidere da che parte stare. Già oggi al Consiglio dei ministri verrà posto il problema a Ronchi.

«Mi sono tolto un peso dallo stomaco», ha detto in serata il premier, andando alla cena organizzata dal ministro Rotondi. Il premier è convinto di recuperare molti dei finiani e fare terra bruciata attorno al presidente della Camera. Ma ora il premier dovrà verificare se ha maggioranza per governare.

Ha cominciato la campagna acquisti nel gruppo misto alla Camera e al Senato. E tornerà all’attacco di Casini per convincerlo ad entrare nel governo. Ieri il leader a Montecitorio diceva che non se ne parla: «In questo momento sono in una posizione di forza e non vado a suicidarmi». Tuttavia c’è chi scommette che dopo l’estate, l’Udc entrerà nell’orbita della maggioranza. Se questo non dovesse accadere e se le truppe finiane terranno, potrebbe aprirsi lo scenario di un governo alternativo oppure quello di elezioni anticipate. Ipotesi che Berlusconi esclude, ma ha fatto sapere di non avere paura del voto. Anzi c’è chi pensa tra gli stessi berlusconiani che la scelta di una linea durissima preluda al piano inclinato verso le urne. Potrebbe verificarsi che manchi una maggioranza alla Camera mentre al Senato ci sia: a quel punto il capo dello Stato dovrebbe prendere dell’ingovernabilità e sciogliere il Parlamento.

Tutto ciò è ancora prematuro. Adesso siamo ancora in piena fase di guerriglia, con la scelta della scimitarra. «Sto male - ha detto il premier - mi piange il cuore, ma non credo si possa più andare avanti in questa situazione». All’ufficio di presidenza ci ha provato Giorgia Meloni e i tre esponenti finiani a fermare il premier, quasi implorandolo di aspettare 24 ore prima di prendere una decisione. «Non è possibile - ha risposto il Cavaliere - ci sono stati troppi tentativi, e ogni volta senza risultato. Abbiamo perso sei punti pieni nei sondaggi per queste liti e questi attacchi continui».

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