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di Luigi Galella
C’è chi studia e plasma la propria immagine con intento scientifico e spirito giovanilistico, e chi alle telecamere si offre “nature”. È il modello “Tonino” (La7, “In onda”, mercoledì, 20.30). Senza cravatta e con la rasatura da fare. La cui immagine un po’ trasandata un po’ naif vorrebbe testimoniare che dell’immagine non sa che farsene.
Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, alle prime domande che gli vengono poste ci prova a fare il bravo. E quindi argomenta, curando la sua prosa con il tono e il volume di voce che tentano di contenersi.
Ma presto lo stile si spezza e si fa sincopato, per tenere a bada l’irruenza mimica e verbale. Che lentamente deborda fino al punto che il registro emotivo prende il sopravvento su quello razionale, producendo un impasto spurio, un linguaggio che lo stesso protagonista definisce “dipietrese”. Senza fronzoli, come viene viene. Ed è un po’ come se fosse al tavolo di un bar concentrato a giocare a tressette, e man mano che la partita prosegue si lasciasse andare coi suoi compagni, allietandosi con un quartino, e ora li apostrofasse, ora li rimproverasse o li mandasse a quel paese, alzando la voce e sporcando la pronuncia e le regole della lingua, ma senza perdere la ragione o il filo della gara.
Non che l’ex magistrato di Mani Pulite, che nei primi anni novanta era diventato una celebrità planetaria e godeva di una fiducia e popolarità altissime, non conosca l’italiano.
Anzi. Il più delle volte utilizza perfino il congiuntivo coi verbi dubitativi, che la quasi totalità dei politici ignora. Riesce a dire: “Io penso che sia, io dubito che sia, ecc.”, mentre i suoi colleghi, anche quelli un po’ altezzosi, commettono errori da matita blu. Ma fra la passione e l’argomentare è la prima che prevale. La mimica facciale anticipa la parola, e la gestualità di mani e braccia la adorna, colmandone le lacune e diventando un corollario “espressivo” del suo stile, che lui stesso ormai rivendica.
Ma Antonio Di Pietro non è Sarah Palin, e la sua grammatica se infine si perde è perché viene tradita dall'irruenza e dalla concitazione, non dall’ignoranza. Il suo è un populismo plebeo e schietto, che si priva di qualsiasi belletto perché dietro la patina ruvida e sgradevole della superficie si evidenzino le qualità profonde. Un modo retorico supportato dalla corporeità, di cui il mezzo televisivo – che premia gli “animali” dello schermo – esalta gli esiti, nel bene e nel male. Si presenterà alle prossime primarie, e chi potrebbe essere altrimenti il candidato vincente per l'intero centrosinistra? Chiedono Telese e Costamagna, che hanno il merito di raccontarci una politica estiva, mai così accesa e calda come quest'anno. E qui Tonino si smarca, diretto sì, ma anche astuto. Vendola? No, è stato appena eletto alla regione Puglia. Lo stesso Di Pietro allora. No. Lui è un centravanti d'attacco, e bisogna cercare invece un centrocampista che smisti le palle. Un Pirlo, insomma. Che non si infortuni o venga azzoppato prima dei Mondiali.


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