FEDERICO GEREMICCA
Ed eccola qui la situazione che più di ogni altra il Colle temeva. E che temeva già settimane fa quando, nel pieno dello scontro sul disegno di legge in materia di intercettazioni, la preoccupazione maggiore del Capo dello Stato riguardava lo sfilacciamento dei rapporti politici, la stabilità della maggioranza, la tenuta dell’esecutivo: la governabilità per dirla in una parola sola. Il rischio che Napolitano scorgeva all’orizzonte, si è materializzato forse addirittura prima del previsto: ed ora è al Colle che si guarda, cercando risposte che il Colle però non può dare.
Il Quirinale, infatti, non ha un ruolo in questa fase. Spiega uno dei consiglieri del Presidente: «Il governo è al suo posto, nessuno ha messo in discussione la maggioranza che lo sostiene e quindi non si capisce che cosa si attenda dal Colle. Quello in atto è uno scontro politico interno a un partito: il Quirinale, naturalmente, si tiene distante e non ha nulla da dire. Oggi la preoccupazione, magari, è un’altra...». Ed è una preoccupazione che Giorgio Napolitano mette nero su bianco alla fine dell’incontro con la delegazione del Pd ricevuta al colle: si chiama garantire la continuità istituzionale...
Cos’è che infatti il Presidente vede all’orizzonte, grazie alla sua decennale esperienza politica, alle dichiarazioni che legge e alla distanza dal fuoco delle polemiche che il suo ruolo gli impone? Un attacco concentrico al presidente della Camera che porti, alla fine alla paralisi dell’istituzione. Uno scenario da guerriglia quotidiana, con Pdl e Lega che disertano le conferenze dei capigruppo, votano in aula contro il calendario dei lavori proposto da Fini, ostacolano i lavori dell’assemblea di Montecitorio fino alla paralisi e alla dimostrazione che l’unica via per il regolare funzionamento della Camera sono le dimissioni di Gianfranco Fini. Non solo. Accanto a questo, infatti, chi può escludere un agosto arroventato e segnato da quella che i quotidiani definiscono «campagna acquisti», e cioè il tentativo con ogni mezzo di convincere i finiani a passare dall’altra parte della barricata?
E’ per questo, per il clima che si respira e l’imprevedibilità degli avvenimenti futuri che il Capo dello Stato è meno rammaricato del solito della totale assenza di comunicazioni con il presidente del Consiglio. Come sempre (anche in un momento così delicato) nessun contatto diretto. Berlusconi non ha sentito la necessità di salire al Colle per spiegare al Presidente la situazione determinatasi e Napolitano, stavolta, non se n’è lamentato e non ha fatto nulla perché l’incontro avvenisse: tale distanza, in fondo, potrebbe vincolare meno le sue scelte future e lasciargli (termine non corretto applicato al capo dello Stato) le «mani libere» quando e se la crisi politica dovesse trascinare in crisi di governo. Comunque sia, i rapporti tra i d0ue presidenti - insomma - restano quelli di sempre: improntati a reciproca diffidenza e difficile comunicazione, venendo e rappresentando mondi troppo lontani e diversi per poter intendersi. L’ultima seria frizione è di appena qualche giorno fa, quando il Capo dello Stato - avvalendosi della norma costituzionale secondo la quale è il Presidente della Repubblica a nominare i ministri su proposta del premier - ha invitato il Capo del Governo a ripensare alla scelta di Paolo Romani come ministro dello Sviluppo economico. Nomina inopportuna se non discutibile.
L’inopportunità starebbe nel volersi sistemare alla guida del Ministero che oggi ha - tra l’altro - la titolarità del rilascio delle concessioni televisive, un esponente politico che è anche editore e che è storicamente considerato un po’ la longa manus di Berlusconi nel mondo dell’emittenza televisiva e nomina anche discutibile, considerato il fatto che Paolo Romani sarebbe al centro di un paio di indagini, una delle quali riguarderebbe l’autorizzazione (in qualità di assessore all’Urbanistica di un comune lombardo) di una grande lottizzazione ad opera del fratello Paolo e di altri familiari del figlio di Berlusconi.
Il Capo dello Stato ha manifestato perplessità sulla scelta e invitato il premier (attraverso i soliti ambasciatori...) a ripensarci. Il presidente del Consiglio ha preso atto e si è fermato. Tanti braccio di ferro tutti assieme sono troppo, evidentemente, anche per un premier decisionista e abituato alla lotta come Silvio Berlusconi.
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