domenica 11 luglio 2010

Il Cavaliere furioso


di Marco Damilano>BR>(07 luglio 2010)

Lo scontro con Fini. Il gelo con Napolitano sulla legge bavaglio. Il rischio di perdere lo scudo giudiziario. Per Berlusconi si prepara un'estate molto calda. E dagli sviluppi ancor più imprevedibili

Se sei inattivo mostra movimento, se sei attivo mostrati immobile. Chi è prudente ed aspetta con pazienza chi non lo è, sarà vittorioso... L'ha scritto Sun Tsu nella sua Arte della guerra 2.500 anni fa, ma racconta alla perfezione lo stato delle cose tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, tra l'Invincibile Armada di Arcore che non c'è più e la flotta finiana che combatte la guerriglia dentro e fuori le aule parlamentari.

Nel bel mezzo della settimana annunciata come decisiva, cominciata con le dimissioni di Aldo Brancher da ministro davanti a una corte di giustizia, il presidente della Camera si fa vedere per qualche minuto a Montecitorio, abbronzato e tranquillo, deciso a non spostarsi di un millimetro dalla sua posizione di dissidente interno nel Pdl, intenzionato a restare e continuare ogni giorno nell'opera di Signornò. Immobile come un monaco tibetano.

Al contrario dell'antagonista, il Cavaliere-premier, che si agita come un dannato e minaccia di utilizzare contro l'odiato rivale interno le armi non convenzionali. Da Palazzo Grazioli arriva l'eco di macchinazioni clamorose. Per esempio, costringere Fini ad abbandonare il seggio più alto di Montecitorio ("È quella posizione che gli consente questa spavalderia", impreca Berlusconi), con una raccolta di firme tra i deputati della maggioranza per sfiduciare il presidente della Camera: istituto non previsto dalla Costituzione e mai neppure lontamente immaginato quando a presiedere nella prima Repubblica erano personaggi come Sandro Pertini o Giorgio Napolitano, campioni di correttezza istituzionale, di certo non capipartito né tantomeno capicorrente. Sconsigliato: la petizione anti-Fini potrebbe fallire l'obiettivo, con troppi deputati costretti a mettere il loro nome in calce a una mossa che segnerebbe la fine traumatica della legislatura.

Piano di riserva: costringere i membri del governo rimasti fedeli a Fini (il ministro Andrea Ronchi, i sottosegretari Adolfo Urso, Pasquale Viespoli, Andrea Augello) a firmare una lettera di dimissioni. Impossibile farlo, però, senza un casus belli, una dissociazione aperta della corrente finiana da un provvedimento del governo. E finora gli uomini dell'ex leader di An, al dunque, hanno sempre ostentato lealtà.

E infine la bomba da fine del mondo, quella che da giorni invocano le tifoserie accaldate sulle prime pagine di "Giornale" e "Libero", il colpo di teatro. Se non si può espellere Fini dal Pdl, si può fare di più: chiudere il Pdl e riaprirlo senza il co-fondatore tra i piedi. E pazienza se lo statuto prevede che l'attuale simbolo non potrà essere utilizzato da nessuno. "E che ce ne facciamo? Quante volte abbiamo già cambiato: Forza Italia, Polo della libertà, Casa della libertà... L'importante è che sulla scheda sia sempre ben visibile il nome del nostro unico, vero simbolo: Berlusconi", si esalta l'ultrà Giorgio Stracquadanio, direttore del sito "Il Predellino", tutto un programma.

Già: per i pasdaran del partito interamente berlusconizzato il Pdl è solo l'ennesima reincarnazione di Forza Silvio, network per palati sottili che campeggia sulla home page del sito ufficiale del partitone azzurro, tanto per far capire chi comanda. E se così non è, tanto vale scioglierlo. Anche perché, intanto, il Popolo della libertà ha già pensato di andare in ordine sparso spontaneamente, senza aspettare disposizioni dall'alto.

Nella settimana della resa dei conti il partito di maggioranza relativa si presenta diviso in mille fazioni perfino su un disegno di legge in apparenza a bassa tensione, quello che crea un fondo di 12 milioni di euro per le comunità giovanili, presentato un anno fa a Palazzo Chigi da Berlusconi e fortemente voluto dal ministro Giorgia Meloni. Da qualche settimana i finiani lo hanno messo nel mirino: "Serve a finanziare la corrente degli ex An nel Pdl rimasta con Silvio", sussurrano. Quando arriva in aula comincia il tiro al bersaglio. Condotto, a sorpresa, da Alessandra Mussolini, dalla giovane deputata Nunzia De Girolamo e dal vecchio liberale Antonio Martino che sbotta: "Qui stiamo mettendo le mani nel barile del porco salato".

Nelle stesse ore al Senato si consuma lo stop and go sulla manovra Tremonti per cui un altro ministro, il fantasioso Renato Brunetta, ha coniato un'altra definizione: "C'è dentro di tutto. Sembra il manuale delle Giovani Marmotte".

Tra maiali e marmotte, pittoresca zoologia piediellina, tra ministri dimissionari e il proliferare delle correnti, il Pdl affonda in un marasma che qualcuno comincia a paragonare alla famigerata Unione di Romano Prodi. "Con la differenza che il governo del Professore poteva contare su un solo voto di scarto e aveva di fronte a sé un'opposizione agguerrita, quello di Berlusconi con cento parlamentari di scarto e il Pd ridotto male è un capolavoro di autolesionismo politico", sospira un notabile azzurro, allibito dell'inerzia del Cavaliere.

La certificazione dell'impotenza, la fotografia di quanto già avvenuto nella direzione del Pdl tre mesi fa: Berlusconi non può cacciare via Fini, Fini non ci pensa nemmeno a togliere il disturbo. Al Cavaliere potrebbe restare la soddisfazione di provare a licenziare la finiana Giulia Bongiorno dalla presidenza della commissione Giustizia che andrà rinnovata nelle prossime settimane. Ma è una piccola cosa rispetto all'unica strategia possibile rimasta al premier: tirare a campare. Lasciar passare il tempo e arrivare senza danni eccessivi all'appuntamento del 2013, l'elezione del presidente della Repubblica.

Altro che grande riforma. Altro che rivoluzione liberale.

In questa legislatura resta un unico punto all'ordine del giorno. Coronare il sogno del Cavaliere di salire al Quirinale. E di arrivarci candido, immacolato, senza l'ombra di uno scandalo o peggio di una condanna. Per questo, per esempio, Berlusconi non ha detto una parola di solidarietà con l'amico di sempre Marcello Dell'Utri ri-condannato per mafia: certi sodali è meglio far finta di non averli mai conosciuti, se vuoi fare il padre della patria. Per questo, l'ossessione di Berlusconi è sempre la stessa: chiudere i conti da regolare con la giustizia, il processo Mills, ora congelato, i processi Mediaset e Mediatrade. Negli ultimi giorni, il Cavaliere si è disamorato della legge sulle intercettazioni. Così com'è serve a poco ed è costata una quasi rottura istituzionale con Giorgio Napolitano, la rivolta della magistratura e della quasi totalità della stampa, i rapporti interni al partito devastati dai sospetti, l'umiliazione del gruppo Pdl del Senato costretto a votare con la fiducia un testo che non vedrà mai la luce e, come se non bastasse, il commissariamento di fatto del ministro Angelino Alfano: un bel bilancio per il consigliere numero uno del premier, l'avvocato Niccolò Ghedini, non c'è che dire. Ma niente paura, il prolifico Ghedini ha già convinto il Capo che ora bisogna passare a una nuova, trionfale campagna parlamentare e puntare tutto sulla rapida approvazione del lodo Alfano, lo scudo che salva il premier dai processi, inserito nella Costituzione. Rapida si fa per dire: serve una doppia lettura di Camera e Senato a distanza di almeno tre mesi più un referendum finale confermativo in cui gli italiani saranno chiamati a dire sì o no alla legge che mette nella Costituzione il principio che il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio (più i ministri, coperti anche per i "fatti antecedenti all'assunzione della funzione", nell'ultima versione) non possono essere sottoposti a processo durante il loro mandato. Calendario alla mano, se tutto va bene il referendum potrà tenersi nell'ottobre 2011, ultima data utile al Cavaliere per evitare il tribunale di Milano: nello stesso periodo, infatti, scadrà la legge sul legittimo impedimento (quella che l'ex ministro Brancher ha provato a usare per evitare il processo Antonveneta), una legge a termine che dura diciotto mesi, un ponte che permette al Cavaliere di passare indenne il tempo di approvazione del lodo Alfano costituzionalizzato.

Sembra un meccanismo perfetto, ma non è così. Basta saltare un piccolo intoppo, un emendamento imprevisto e oplà, si dovrebbe ricominciare tutto da capo: nuova doppia lettura Camera-Senato, una spola infernale da cui Silvio rischia di non uscire più. Non almeno nella data buona, ottobre 2011, quando ormai l'elezione del nuovo presidente della Repubblica si avvicinerà. "Il Pdl al Senato sta procedendo a tappe forzate", spiega il senatore del Pd Stefano Ceccanti: "Il testo del lodo che uscirà di qui non dovrà mai essere modificato nelle successive letture parlamentari". Un'impresa mica da poco. Per riuscirci Berlusconi è disposto ad accettare di buon grado le proposte di modifica sulle intercettazioni che arrivano dal Quirinale: l'importante è che la prima carica dello Stato sia d'accordo con lui sull'urgenza di approvare il lodo Alfano. Il lasciapassare di Silvio verso il Colle più alto, verso la storia, rispetto al quale si può chiudere un occhio sul fatto che per raggiungere lo scopo il Pdl alla fine potrebbe non esistere più. Con la speranza che Fini non si metta a sparare anche sul lodo. Un pia illusione: dai finiani già arrivano i primi attacchi sull'estensione del lodo ai ministri. E sullo scudo salva-premier potrebbe ripetersi il film già visto sulle intercettazioni: distinguo, trappole parlamentari. Un Vietnam per il Cavaliere che si pensava imbattibile e che si ritrova impotente. Ma se così fosse, il destino della legislatura è segnato. Se dovesse tramontare la possibilità di farsi votare il lodo dal Parlamento nei tempi previsti, a Berlusconi non resterebbe che la carta delle elezioni anticipate nella primavera 2011. L'ennesimo referendum sulla sua persona, il plebiscito che spazzerà via gli avversari e lo condurrà al Quirinale a furor di popolo. Un azzardo spericolato, con l'incognita di un Fini che si mette in proprio, magari in un terzo polo con Casini e Montezemolo che i sondaggi accreditano fino al 22 per cento. Il presidente della Camera lo sa, rilegge l'ultima massima di Sun Tsu:"Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere". E aspetta.

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