martedì 6 luglio 2010

La cantatrice calva


di Marco Travaglio

Si spera che nessuno voglia sottovalutare il drammatico allarme lanciato da Sandro Bondi dalle colonne di Repubblica. Il Pallore Gonfiato, eccezionalmente in prosa e non in endecasillabi sciolti, lacrima come una vite tagliata sulla vita grama dell’amato: “Sì – ammette singhiozzando – è difficile negare la solitudine politica del presidente del Consiglio”. Solitudine che la cantatrice calva non attribuisce, ci mancherebbe, a un calo di consensi, a qualche errore, a una “debolezza politica” (Egli anzi è sempre più amato, infallibile e vigoroso), bensì alla sua “profonda estraneità alla cultura dominante”.

Diciamo pure alla cultura, punto. In verità l’immagine del premier circondato da ballerine di lap dance nella recente visita di Stato in Brasile non somiglia molto al mesto ritratto che ne fa il ministro-poeta. Ma, se lui giura che il boss è solo, dobbiamo credere a lui. Il vate di Fivizzano non può dirlo, ma alla solitudine del Capo, più che i divorzi da Veronica e Fini, deve aver contribuito il venir meno dei suoi angeli custodi: prima Previti, falciato nel fiore degli anni da due condanne per corruzione giudiziaria; poi Brancher, prematuramente mancato all’affetto dei suoi cari per aver tentato di imitare l’Inimitabile – ah, la hybris! – profittando del legittimo impedimento in un processo (le leggi ad personam valgono solo per quella Personam lì, cribbio); e prossimamente, forse, pure Dell’Utri che già si porta avanti col lavoro, rammentando l’eroismo di Mangano per far capire che lui, in galera, potrebbe non garantire la stessa tenuta stagna.

Pare che persino Mastella, appena riapprodato a destra dopo varie tournée al centro e a sinistra, sia passato alla fronda.

Corre addirittura voce che il fu Re Mida ora Re Merda porti jella: non bastando l’ennesimo rovescio della Nazionale azzurra sotto un suo governo, l’altro giorno ha fulminato anche il Brasile, che l’aveva incautamente invitato proprio in coincidenza coi quarti di finale.

“L’Italia – osserva affranto James Bondi – è l’unico Paese in cui agisce e prospera una nomenclatura politica, istituzionale e culturale simile a quella di certi regimi comunisti nella loro fase di declino” (quelli del 1990-91, quando lui non a caso era sindaco comunista del suo paese).

Sgomento al cospetto del “corto circuito della verità” e di quanti “utilizzano l’informazione come una clava contro gli avversari politici”, il nostro è un uomo distrutto. Ma pronto a tutto: se qualche anno fa, dinanzi alla minaccia di una legge sul conflitto d’interessi (peraltro finta, provenendo dal centrosinistra), iniziò lo sciopero della fame e si disse disposto a lasciarsi morire nel caso in cui l’amato fosse toccato negli affetti più cari (i soldi), oggi porge il petto alle mitragliatrici dei traditori per fargli da scudo umano contro il “mondo vecchio, conservatore, venato da grossolane ipocrisie che purtroppo alligna anche nel Pdl”.

Mentre i topi abbandonano alla chetichella la nave e persino le escort e le badanti si dileguano, James si propone come la versione moderna di Eva Braun nel bunker berlinese e di Claretta Petacci a Giulino di Mezzegra.

Rimasto solo con l’oggetto del suo desiderio, affaticato dall’emergenza caldo, spossato dai viaggi in treno con cui percorre in lungo e in largo l’Italia per coordinare un partito che non c’è, deve fare tutto lui: devastare la cultura, rovinare il cinema, sventrare gli enti lirici, rincuorare Cosentino (resti sottosegretario per scongiurare “la vittoria del comunismo”).

Ora gli tocca pure colmare col suo consunto corpicino l’incolmabile solitudine del premier. La struggente elegia si chiude con un’agghiacciante minaccia: quella di “una nuova rivoluzione berlusconiana”, dalle conseguenze incalcolabili. Non sappiamo ancora che cos’ha in mente, ma lui sì. Non resta che sperare che il Cavaliere respinga cortesemente le profferte bondiane: che insomma, dinanzi alla terrificante prospettiva di chiudere i suoi giorni su questa terra fra le braccia di un simile damo di compagnia, opti per il harakiri, o per l’aspide, o per la cicuta. Non appena gli avranno spiegato che roba sono.

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