

Pdl e Lega vogliono mettere la fiducia sulla manovra Il Pd: abbandoniamo
di Carlo Tecce
Il governo ha scambiato il Parlamento per l'ufficio timbri. Pronta la fiducia numero 36 per archiviare la manovra economica a Montecitorio, la maggioranza vorrebbe spedire l'opposizione al mare, disarmata dal voto blindato e convocata in aula per il nulla. Il Partito democratico prepara una fuga sì, ma verso L’Aquila per scovare tra le macerie il miracolo berlusconiano. Il capogruppo Dario Franceschini ha inviato un telegramma ai 206 deputati: “Siete allertati per lunedì o martedì, appena Pdl e Lega Nord annunceranno la fiducia, noi prenderemo i pullman e andremo a visitare L'Aquila assieme al sindaco Massimo Cialente”.
Rattoppa buchi e toglie soldi
UNA CAMERA vuota a metà approverà il testo delle sforbiciate, il Pd sfilerà per la città fantasma, illusa da promesse mai mantenute: “A Montecitorio brinderanno per una legge che rattoppa dei buchi e toglie soldi a regioni e province, noi a L'Aquila mostreremo ai giornalisti – aggiungono dalla segreteria di Franceschini – la realtà di una ricostruzione appesa da un anno e tre mesi”. Camera e Senato per il governo di Berlusconi sono due contrattempi, facili da smontare con voti di fiducia e decreti leggi. In materia i record vanno aggiornati di ora in ora:nel 2009–l'anno del terremoto il governo ha invocato l'urgenza (presunta) per 18 volte. Non accadeva da trent'anni. Niente potrà fermare le forbici di Tremonti, confezionate dal governo, e dunque il Pd prepara già la cura per una malattia inevitabile: Emanule Fiano, responsabile sicurezza, farà un giro di Prefetture e Commissariati per verificare i postumi della manovra. L'opposizione spuntata per farsi vedere deve scomparire da quei banchi trasformati – direbbe
Democrazia senza controlli
IL RESTO è democrazia che passa senza controlli: 57 conversioni di decreti, 102 disegni di legge governativi. Zero riforme, zero discussioni. E palleggi incrociati con il Senato di bavaglio e manovra. Premesso: insaccato il legittimo impedimento e il condono fiscale. Il calendario di Palazzo Madama è gestito da Renato Schifani, l'esatto contrario del ribelle Fini: il Senato vanta una perfetta sintonia-sincronia con il presidente del Consiglio. Una legge proposta da un senatore, evento raro che ricorda la cometa di Halley, traccheggia per 221 giorni per giungere al voto. Corsia preferenziale per il governo: bastano 65 giorni, un terzo del tempo. “Peggio da noi: a Montecitorio non sappiamo che fare”, sbuffa un deputato della minoranza. A luglio hanno ascoltato decine di risposte a interrogazioni su temi seri e semiseri: una diga sul fiume Melito in Calabria e le multe per i manifesti elettorali a Torino e Biella. L'ordine prevedeva il disordine: fate confusione con trattati internazionali e variopinte interpellanze, preparatevi a leggi su manovra e intercettazioni . Fini s'è inventato la settimana corta per aiutare i deputati svogliati: comodo rientro di lunedì pomeriggio, arretrati e novità di martedì e giovedì, breve saluto il giovedì. Nell'ultimo anno l'assemblea s'è riunita tre giorni a settimana per una media di cinque ore, compresa la pausa pranzo e il ristoro pomeridiano. Cinque ore ridotte a tre, se consideriamo l'attività legislativa. La vecchia usanza dell'ostruzionismo che snerva la maggioranza, cartoni di emendamenti e interventi fiume, è ormai vietata all'opposizione. La trasferta a L'Aquila sarà un precedente, la minoranza che abbandona il Parlamento per farsi sentire. Come per certificare l'assenza di democrazia: “Non abita più qui”. E chissà dov'è.

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