domenica 25 luglio 2010

Nomine, Consob e Csm inceppano il toto-poltrone


PAOLO BARONI

Se Paolo Romani va allo Sviluppo economico chi scalerà la Consob? Pressato dal presidente della Repubblica che ha richiamato «l’istituzione governo» alle sue responsabilità, venerdì Berlusconi ha subito assicurato in settimana nominerà il successore di Claudio Scajola, mentre sulla poltrona occupata sino a giugno da Lamberto Cardia, nel frattempo approdato alle vertice delle Fs, silenzio. Negli ambienti di governo non si esclude che anche questa casella venga riempita entro il prossimo consiglio dei ministri in calendario per giovedì o venerdì. Ma non è nemmeno escluso che tutto slitti a settembre.

«Il governo sembra si stia incartando» racconta un attento osservatore dei giochi di potere dei palazzi romani. Col risultato che il candidato più accreditato per la poltrona di vigilante della Borsa, ovvero l’attuale presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà, resta nel limbo. Sul suo nome convergevano sia Gianni Letta che Giulio Tremonti e la nomina, ancora dieci giorni fa, sembrava cosa fatta. Salvo poi dover trovare un nome adeguato per guidare l’ufficio di garante della concorrenza. Nel toto-poltrone sono così entrati via via molti nomi, ma soprattutto quello dell’ex presidente della Cassazione Vincenzo Carbone poi finito nella vicenda della P3 e quindi «bruciato». Per la Consob, ma anche per l’Antitrust come pure per lo Sviluppo economico qualora ci dovesse essere un intoppo improvviso per Romani (i finiani ad esempio storcono il naso e chiedono un nome “di livello”), c’è poi sempre in pista l’attuale viceministro dell’Economia Giuseppe Vegas. Stimato anche dall’opposizione ma, a detta di molti, troppo “politico” per guidare un’autorità di controllo, la Consob come l’Antitrust. Tra l’altro mentre il presidente della Consob viene scelto dal capo del Governo d’intesa col ministero dell’Economia, quello dell’Antitrust è nominato dai presidenti delle due camere. E di questi tempi trovare la quadra tra Fini e Schifani non è certo cosa facile. Tant’è che nel risiko delle nomine è finito anche l’attuale segretario generale della Farnesina Giampiero Massolo, non foss’altro perché ben visto da Fini.

Altro scoglio la superare, la delega alle Comunicazioni. E’ chiaro che se Paolo Romani diventa ministro dello Sviluppo dovrà lasciare ad un altro viceministro o ad un sottosegretario le competenze sulle tv. Serve un candidato di assoluta fiducia del premier: per questo i bookmaker di palazzo Chigi puntano sull’emiliana Anna Maria Bernini. Col vicepresidente della Camera Maurizio Lupi come carta di riserva.

Merce di scambio. Se fino ad oggi il presidente del Consiglio ha indugiato sulla scelta del dopo-Scajola era perché pensava di utilizzare la poltrona di via Veneto per convincere Casini ad entrare in maggioranza. Stessa manovra, stando ai si dice, potrebbe aver tentato col viceministro Urso, in questo caso al solo scopo di indebolire il partito-Fini. Il «pacchetto Udc», respinto con sdegno al mittente nelle settimane scorse, oltre al posto di ministro per Casini comprendeva due presidenze di commissione, guarda caso da sfilare ai finiani (la commissione Giustizia alla Camera ora affidata a Giulia Bongiorno e la commissione Finanze del Senato guidata da Mario Baldassarri), e la vicepresidenza del Consiglio superiore della magistratura da assegnare a Michele Vietti. Il deputato centrista è tutt’ora in pole position per succedere a Mancino, ma coi voti di Pd e delle componenti moderate e di centrosinistra della magistratura non certo con quelli del Pdl. Che per passare al contrattacco ha deciso di gettare nella mischia il nome dell’ex presidente della Corte costituzionale Annibale Marini. Chances? Poche. Tant’è anche anche ieri i capigruppo Gasparri e Cicchitto si sono scagliati contro gli «inaccettabili veti» e le «preclusioni ideologiche» che sbarrano la strada ad un qualsiasi candidato targato centrodestra sollevando così una «questione democratica».

La prova della verità si avrà martedì quando il Parlamento dovrà provare ad eleggere gli otto membri laici del Csm (5 di maggioranza e 3 di opposizione). In corsa Guido Calvi, Glauco Giosta, Pietro Carotti, Vincenzo Cerulli Irelli e Paola Balducci in quota Pd, nel centrodestra Nino Lo Presti e Antonino Caruso, i professori Mario Trapani e Vincenzo Scordamaglia, e la leghista Mariella Ventura. Vista la situazione il Pdl potrebbe decidere di far saltare la votazione: in questo caso la prova di appello sarebbe fissata per il 29. Due giorni prima del termine «ultimo» fissato da Napolitano.

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