mercoledì 7 luglio 2010

Piccoli cloni di impunità crescono


di Lorenza Carlassare

L’emendamento (Ceccanti ed altri) presentato dal Pd in Commissione Affari costituzionali era veramente ‘tombale’, non lasciava margine alcuno. Tutto ciò che il capo dello Stato fa o ha fatto, durante la carica o prima, qualunque fosse la gravità del reato, doveva restare impunito per tutti i sette anni del mandato presidenziale. Nemmeno il ministro Alfano, che critichiamo sempre, era giunto a tanto! Un bel progetto per il futuro di un popolo avere al vertice dello Stato, come rappresentante dell’unità nazionale e garante della Costituzione, un ladro, un assassino, uno stupratore, un grande evasore fiscale o un mafioso, che, ormai ‘intoccabile’, rimaneva tranquillo nella sua alta posizione istituzionale. Per fortuna oggi è stato ritirato, ma conviene egualmente parlarne per la sua estrema gravità; il fatto stesso che sia stato concepito fa temere che si sia perso l’orientamento.

Si tratta infatti di un emendamento offensivo per il capo dello Stato attuale che non ha bisogno di difese: ha già per scudo la sua personalità morale, la sua storia, il suo passato e il difficile presente. Ma offensivo è soprattutto per i giudici: sembrava infatti avallare la tesi di Berlusconi, del suo seguito e di vari malfattori pubblici, di una magistratura che si muove a comando per fini politici, utilizzabile dall’una e dall’altra parte per minacciare ricatti o regolare i conti. Da quel che leggo, pare sia stata motivata così la presentazione dell’emendamento, con il rischio rappresentato da una magistratura politicizzata. Ma allora, se esistesse il più lontano timore di un uso politico della giustizia e gli avvocati di palazzo avessero ragione, non sarebbe piuttosto da battersi – con un po’ di energia naturalmente – per rafforzare l’indipendenza di una Magistratura che la maggioranza è decisa a sottomettere? A parte l’immediata e non secondaria obiezione che con simile norma si garantirebbe il futuro del Cavaliere, aspirante capo dello Stato, l’emendamento presentava un risvolto allarmante per il popolo sovrano cui la Costituzione (art. 138) attribuisce il potere di respingere con referendum le leggi di riforma costituzionale. Proporre un emendamento di tale portata significava infatti, nel caso fosse approvato, dover votare poi a favore della legge, così bloccando la possibilità di chiedere il referendum, previsto soltanto quando manchi il consenso dell’opposizione e la legge costituzionale, non riuscendo ad essere approvata con i due terzi, raggiunga solo la maggioranza assoluta. L’art. 138 vuole infatti evitare che la maggioranza governativa possa, ‘da sola’, modificare la Costituzione; se il consenso dell’opposizione c’è, il referendum non serve. Il ritiro dell’emendamento rassicura sull’intenzione di non partecipare al gioco eversivo di riapprovare in forma costituzionale un lodo già dichiarato due volte illegittimo per tacitare la Corte. Ammesso che basti rivestire simili norme della forma costituzionale per evitare il giudizio. A parte i discorsi ben noti ai costituzionalisti sui ‘limiti’ alla revisione costituzionale, sui quali la Corte si è espressa chiaramente nel 1988, la recente sentenza (ottobre 2009) che ha dichiarato illegittima la legge Alfano, ossia ‘il lodo’ riproposto, contiene passi che non dovrebbero rassicurare del tutto chi intende riapprovarlo nella forma di legge costituzionale per precludere ogni controllo futuro. Il ribadire che il principio della “parità di trattamento rispetto alla giurisdizione” è “alle origini dello Stato di diritto” (sent. 24 /2004 sulla legge Schifani), assieme al richiamo al carattere di ‘specifico sistema normativo’ che presenta la regolazione delle immunità (una “complessiva architettura costituzionale, ispirata al principio della divisione dei poteri e del loro equilibrio”) fa pensare che non sia consentita ‘in alcuna forma’ l’introduzione di norme in stridente contrasto con quel delicato sistema. Un ‘sistema’ nel quale le norme sulle alte cariche sono sempre legate alla funzione: per reati estranei, qualunque sia la carica ricoperta, quei soggetti non godono di alcuna tutela.

Le immunità, spesso presentate ai cittadini in modo distorto, meritano un chiarimento approfondito: riprenderò dunque il discorso in una delle prossime settimane.

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