di Marco Travaglio
L’ altra sera, al Gran Coniglio del P3dl riunito a Palazzo Grazioli, Denis Verdini passeggiando nervosamente nella stanza ordinava a Sandro Bondi: “Carta, calamaio e penna!”. L’apposito James subito eseguiva e, curvo sullo scrittoio a ribaltino, vergava il comunicato della Banda Bassotti per liquidare Fini e deferire ai probiviri altri tre deviazionisti.
Un unicum nella storia, dall’età della pietra a oggi: mai nessun politico, nemmeno in certi stati africani dove gli avversari venivano eliminati per via non giudiziaria, ma gastroenterica, era stato cacciato dal suo partito per eccessi di legalità.
Dettava dunque Verdini: “L’Ufficio di Presidenza…’. Sandro, apri una parente. L’hai aperta? ‘…che siamo noi…’. Chiudi la parente. ‘…considera le posizioni dell’on. Fini assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Pdl’. Virgola, anzi punto e virgola, due punti. Massì, abbondiamo, abbondantis abbondandum!”.
Ogni tanto bussavano alla porta e Verdini, colto da un sussulto, guadagnava prontamente il cornicione, temendo da un momento all’altro l’irruzione dei gendarmi o degl’ispettori della Banca d’Italia che lo tallonano da tempo. Ma niente paura: una volta era
“Allora, Sandro, dov’eravamo rimasti? Ah sì: Fini è colluso con la giustizia e l’antimafia, continua pervicacemente a non rubare e per giunta rifiuta di tenerci il sacco, farci il palo e coprirci la fuga”. “Scusi se oso, magnifico Denis”, esalava James, “ma così dicendo qualcuno penserà che il documento l’abbia scritto Gambadilegno. Forse è meglio dire le stesse cose in forma più aulica: tipo che Fini ha fatto mancare ‘il vincolo di solidarietà ai propri compagni di partito, vorrebbe consegnare alle Procure tempi, modi e contenuti degli organigrammi istituzionali e di partito’, ‘pone in contraddizione legalità e garantismo, si mostra esitante nel respingere i teoremi su mafia e politica’… Che dici? Tanto chi vuol capire capisce”. “Oh, mettila giù come ti pare, ma lascia perdere le rime baciate. Purchè si capisca qual è il problema: quello non ruba e non lascia rubare, mettendoci in cattiva luce con gli amici degli amici e disorientando il nostro elettorato. Tanto poi ci pensano il Giornale e Libero a tirar fuori i dossier e il Corriere a gabellare il tutto come un capriccio caratteriale. E fai un po’ prestino ché c’ho una partita di assegni di passaggio e non vorrei perdermela”.
Intanto, anticipando i desiderata di Denis, l’ambasciatore Sergio Romano calzava la feluca d’ordinanza e le ghette primavera-estate delle grandi occasioni (le portava già a Plombières nel 1858, quando accompagnò Costantino Nigra e la contessa di Castiglione a rendere visita a Napoleone III e a passarvi le acque), aveva già telegrafato il consueto puntuto editoriale al Corriere della Sera, di quelli che da soli riescono a metterne in fuga il 14% dei lettori.
“Di grazia – ammoniva il sempre vispo diplomatico, alternando il monocolo al più moderno e civettuolo pince-nez – risparmiateci questo spettacolo avvilente”, non “bisticciate” e “passate alla ricerca di formule che possano assicurare continuità e stabilità del governo”, “componendo le divergenze e accordandovi su un percorso comune” con “un’intesa fondata sulle vere esigenze del Paese” che “gioverà a coloro che avranno seriamente tentato di realizzarla”. Insomma gliele ha cantate chiare, come sempre.
Dal canto suo, il Pd si accreditava come autorevole alternativa al P3dl, mandando al Csm l’ottimo Vietti, già autore della legge porcata sul falso in bilancio, e Calvi, l’avvocato di D’Alema, che terrà compagnia all’avvocato di Bossi, Brigandì, e a uno dei 67 avvocati di B., tale Palumbo. Perché, come dice Bersani, “siamo pronti per qualsiasi soluzione”. Anche a sostituire B. facendo le stesse cose.
Nessun commento:
Posta un commento