martedì 20 luglio 2010

ROBERTO DE ODORISIO (SEC. XIV)

Crocifissione

Incoronazione della Vergine

Roberto de Odorisio (sec. XIV), pittore allievo del romano Cavallini che esercitò nella bottega fiorentina di Giotto, dipinse una “Crocifissione”, per il complesso monastico di San Francesco in Eboli nel 1340 ca., l’opera su tavola in campo d’oro misura cm. 122 x 183, e finisce in alto a cono tronco, rappresenta come già detto la Crocifissione di N. S.. Si nota a sinistra di chi guarda il dipinto un epigrafe scritta a caratteri semigotici angioini recita: HOC OPUS PINSIT ROBERTUS DE ODORISIO DE NEAPOLIS. Sulla tavola vi sono diverse figure dipinte, le tre Marie delle quali due sorreggono la Madonna svenuta, e l’altra è genuflessa ai piedi della croce sulla quale pende Gesù; San Giovanni apostolo, e altri personaggi in mezzo a giudei e soldati a destra e a sinistra con lance e bandiera romana con le iniziali S.P.Q.R., uno dei quali vicino a San Giovanni tiene con la mano destra un paniere, e con la sinistra una canna alla cui punta vi è una spugna: sei angeli, ricurvi, fanno corona alla maniera di pipistrelli, tutti hanno una aureola in testa, ai lati di Gesù Nazareno, tre angeli raccolgono con altrettante coppe il sangue che scorre dalle ferite delle mani e del costato destro: sotto la croce vi è un frate con le mani giunte, in ginocchio (figura aggiunta posteriormente perché più piccola rispetto alle altre, lo studioso Augeluzzi ritenne che il cappuccino personaggio autorevole e parente di una famiglia facoltosa di Eboli fu il committente del quadro) che risulta impossibile darle un nome per mancanza di documenti che possono orientarci sul responsabile monastico che commissionò a Odorisio l’opera. Al di sopra della croce vi è un albero, su di esso si nota un pellicano con il petto squarciato dove fa succhiare il sangue a quattro volateli della sua specie più piccoli, attorcigliato a un tronco d’albero appena sopra la scritta INRI si nota un serpente. L’artista con il rettile ha voluto rappresentare il peccato originale e con il sangue del pellicano ha voluto raffigurare il riscatto e la redenzione degli uomini.

Questo dipinto è ritenuto la maggiore espressione artistica dell’età Angioina ed è l’unica opera che reca la firma dell’artista. Il prof. Ferdinando Bologna nella sua opera I pittori alla corte angioina 1266-1444 a pag. 264 dice: L’opera rappresenta un vero e proprio punto di convergenza della maggiore e più specifica cultura giottesca napoletana del decennio 1330-1340 In un documento della cancelleria Angioina di Roberto I d’Angiò della prima metà del sec. XIV Odorisio è citato: Familiaris et magister pictor noster, il che dimostra il grado sociale raggiunto alla corte di re Roberto. Nella sua opera “Eboli tra Cronaca e storia”il Longobardi dice che tutto il complesso dopo la soppressione napoleonica venne acquistato dal comune con la somma di seimila ducati compresa la Chiesa. La politica, gli amministratori gli ebolitani hanno ha il dovere di chiederne la restituzione a chi possiede indebitamente quest’opera, (il Museo Diocesano di Salerno) insieme all’Incoronazione del maestro di Eboli (Olio su tavola cm. 261 X 144, a. 1480).

Il lettore si domanderà perché questi capolavori devono far bella mostra al Museo Diocesano di Salerno e non nel nostro ?.

Sull’argomento porto alla Vs. attenzione un’interessante cronistoria scritta da un nostro emerito e compianto concittadino, Raffaele Romano Cesareo che pubblicò nel 1988 “Squarci sul passato lontano e recente di Eboli”.

Il Romano essendo stato un protagonista del periodo bellico, dopo la seconda guerra mondiale per aver avuto incarico commissariale e, funzioni di Podestà del territorio ebolitano dal comando alleato. Così scrive: … Eboli ancora si presenta (forse per poco )dominata da due immensi edifici medievali che stanno quasi a chiudere e a delimitare il versante nord di essa: il Castello normanno-svevo con le sue torri residue ed il convento di S. Francesco con l’annessa Chiesa…questo imponente edificio conventuale non riportò danni rilevantissimi dai bombardamenti tanto che fu possibile alloggiare in esso numerose famiglie rimaste senza tetto, dopo essersi beninteso provveduto a difendere, con l’elevazione di un muretto, il piedistallo della statua del prefetto Silvano risalente all’anno 72 d.C. dalla quale risulta che Eboli fu elevata a Municipio romano……Ma la Chiesa di San Francesco custodiva cose interessanti. Rientrò quindi nelle prime preoccupazioni della gestione commissariale la salvezza di due dipinti che miracolosamente erano rimasti indenni nonostante la caduta del tetto e delle immense travate che lo sorreggevano, causata dai bombardamenti, mentre non si potette rimuovere per la gran mole sua e della sua cornice dorata e per le conseguenti difficoltà del trasporto e del deposito, il grande quadro in tela…rappresentante, il trionfo o sposalizio della Vergine che trovavasi fissato alla parete di fondo della Chiesa alle spalle dell’altare maggiore. Tale quadro era stato già oggetto negli anni immediatamente precedenti o seguenti la prima guerra mondiale di un tentativo di furto da parte di persone che avevano diritto di frequentare a loro piacimento la Chiesa e che erano riuscite a tagliare la tela per tre lati lungo la pesantissima cornice che sarebbe poi rimasta al suo posto vuota dopo il furto: avrebbe reso possibile l’asportazione e l’impunità dei colpevoli la creazione di una impalcatura montata nello spazio intercorrente tra l’altare e la parete di fondo, la quale reggeva un organo ma precludeva la vista del quadro. Della operazione venne a conoscenza un consigliere comunale il quale riunito il consiglio fece provvedere a fermare lo scempio. Il lettore si domanderà come entrasse nell’affare l’amministrazione comunale, vi entrava benissimo, perché il convento dei frati minori di S. Francesco era diventato di proprietà comunale insieme alle pertinenze di esso compresa la Chiesa, a seguito dell’espropriazione avvenuta in danno degli ordini religiosi dell’epoca della rivoluzione del 1779 e dei napoleonidi, e tale proprietà non era stata da nessuno contestata anche perché perfezionata dalla vendita al Comune di Eboli da parte dell’abadia di Cava del 1826.

In quella occasione qualche consigliere, forse di parte clericale, dovette insinuare che gli oggetti esistenti nella Chiesa del complesso conventuale non erano passati, a suo tempo, in proprietà dell’Università di Eboli.

Per chiudere la questione si deliberò di chiedere al titolare della cattedra di Diritto Ecclesiastico parere scritto circa la proprietà dei beni mobili rimasti per destinazione nell’espropriato complesso. Ed il predetto studioso si pronunziò assicurando l’Amministrazione che gli oggetti facenti parte del patrimonio esistenti all’epoca dell’esproprio nella chiesa annessa al convento erano passati anch’essi in piena proprietà comunale.

Purtroppo il dipinto scomparve durante i lavori di restauro della Chiesa e se ne sono perdute le tracce.

Da quanto detto, consegue la certezza che erano di proprietà comunale i due dipinti fatti prelevare da chi scrive dalla sacrestia della Chiesa in perfette condizioni nonostante che questa fosse a cielo aperto e accessibile a tutti. Ma allora non vi era in Eboli persona alcuna capace di commettere furto in una Chiesa e bisognò aspettare interventi successivi perché divenissero campi di asportazioni ben riuscite sia questa Chiesa che altra. Il più importante dei due predetti quadri era un dipinto su tavola fondo oro rappresentante la Crocifissione. Era opera di Roberto Odorisio, pittore napoletano allievo di Giotto, (qui il Romano si sbaglia perché l’Odorisio fu allievo del romano Cavallini che era stato allievo di Giotto) operante nella seconda metà del 1300. …fu pittore della Corte Angioina… …L’altro quadro rappresentava la Vergine col Divino Bambino ed era indicato in antiche scritture come riproducente la Madonna di Costantinopoli. Preoccupato soltanto della perfetta conservazione delle opere, chi scrive ritenne che il posto più adatto per la custodia temporanea delle due opere fosse il convento dei frati di “S. Pietro alli Marmi”, sia perché rimasto indenne dai guasti della guerra, sia perché in quel momento il loro Padre Guardiano dava tutte le garanzie sia per una buona custodia che per una puntuale restituzione delle opere all’Amministrazione del paese, avendo egli ragioni di gratitudine verso la stessa (per aver ricevuto svariati aiuti materiali da essa). Naturalmente chi scrive provvide a farsi lasciare ricevuta in doppia copia dal responsabile del convento, delle quali una rimase ed è tuttora in suo possesso mentre l’altra rimase depositata nelle mani del tesoriere del Comune. Ignoro come, quando, e perché, successivamente alla cessazione della mia attività pubblica, i due quadri di cui sopra invece di essere restituiti al Comune di Eboli vennero trasportati al Museo di Salerno ove oggi trovansi. Ignoro altresì quale uso sia stato fatto della ricevuta in data 2/11/43 rilasciatami dal padre Benedetto da Caggiano Guardiano Cappuccino su di un foglio intestato: “Studio interprov. Generalizio Bonus Pastor PP. Cappuccini – Eboli” e che io consegnai alla persona che svolgeva funzioni di tesoriere comunale al momento di lasciare l’incarico di Commissario. Ignoro se le amministrazioni comunali, che si sono succedute dopo i fatti di cui parlo, abbiamo svolto qualche tentativo per ritornare in possesso dei due dipinti? Ne dubito. Mariano Pastore

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