di Stefano Ceccanti (*)
LE VOSTRE RIFLESSIONI pongono un problema generale.
Cosa deve fare l'opposizione parlamentare quando non condivide per ragioni di fondo una proposta di legge? Deve limitarsi a presentare emendamenti soppressivi e a preannunciare che al di là degli emendamenti che si introdurranno voterà comunque contro, oppure è ragionevole presentare anche testi che, ferma restando la contrarietà di fondo, mirino alla riduzione del danno, cioè a quello che comunemente si chiama "male minore" o "bene possibile"?
In altri termini, in caso di contrarietà complessiva, l'opposizione è chiamata ad assumere solo una posizione di testimonianza o è opportuno agire, in chiave di responsabilità, ragionando anche sul caso peggiore in cui la legge fosse approvata, per limitarne i danni?
È un problema a cui in tutti i sistemi parlamentari i grandi gruppi di opposizione danno una precisa risposta nel secondo senso da me indicato. Così avveniva anche nella cosiddetta Prima Repubblica o, per meglio dire, nella prima fase della nostra Repubblica, a cominciare dal Partito comunista Italiano ed anche nei momenti di più aspra contrapposizione. A questo criterio si attengono anche i grandi gruppi sociali che intervengono nel dibattito pubblico. Ad esempio, per ciò che concerne
Ora, caro direttore, se queste sono le premesse di fondo, vengo al merito specifico, seguendo proprio questo modello di argomentazione.
1) È evidente o no che i senatori del Pd sono assolutamente contrari al cosiddetto lodo Alfano costituzionale, una legge costituzionale ad personam scissa da qualsiasi riforma sistemica, e che da settimane stanno lavorando in Commissione Affari costituzionali e in Commissione Giustizia contro di esso? Senza dubbio sì, come meritoriamente ha informato il suo giornale, tra l'altro intervistandomi in data 26 giugno. Pertanto qualsiasi ipotesi si presenti di riduzione del danno non può essere confusa come collaborazione ad una legge ingiusta, ma intento di ridurre il danno. Chiunque faccia confusione tra i due aspetti sta compiendo una grave strumentalizzazione.
2) È evidente il carattere del tutto inaccettabile di ciò che specificamente prevede il testo per il presidente della Repubblica, affidando alla semplice maggioranza parlamentare pro tempore la decisione sui reati extrafunzionali? Si crea un anomalo rapporto fiduciario che viola la logica della differenziazione temporale dei mandati (sette anni per il presidente, cinque per il Parlamento) e la netta restrizione ex art. 90 della Costituzione che ammette la responsabilità solo ove si possano configurare "alto tradimento" e "attentato alla Costituzione". L'avevo spiegato al termine di quell'intervista e questo giudizio deve prescindere da qualsiasi argomento contingente, da chi ricopra momentaneamente una funzione od un'altra. Le soluzioni devono essere giuste o sbagliate in sé, non pensate né "ad personam" né "contra personam".
3) Contro quel male dai gruppi di opposizione sono venute varie forme di riduzione del danno: innalzare i quorum, precisare le motivazioni del giudizio, e così via. Tra tutte quelle possibili vi può rientrare anche l'improcedibilità del solo capo dello Stato per il periodo del suo mandato? A mio avviso sì, senza che ciò possa in alcun modo servire come alibi per estendere tale disciplina ad altri, e per almeno due motivi. Il primo è che appare così tassativo l'enunciato dell'art. 90 per i reati funzionali che vasta parte della dottrina interpreta già così il sistema oggi vigente, facendo derivare l'improcedibilità da un'interpretazione sistematica della Costituzione (tra gli altri Martines, Baldassarre, Rescigno). Tant'è che nella prassi così decise la procura di Roma nel 1993 in relazione al presidente Oscar Luigi Scalfaro. Il secondo motivo è, anche in riferimento al diritto comparato, quello che hanno spiegato, sempre in termini di "male minore", e solo per la figura del Capo dello Stato, i costituzionalisti Alessandro Pace e Tommaso Giupponi, nonché Michele Ainis su
4) Onde evitare strumentalizzazioni e incomprensioni abbiamo provveduto a ritirare quell'emendamento dalla Commissione giacché, in questo contesto mediatico, poteva sembrare che assumessimo quella come ipotesi principale. Ragioniamo quindi a bocce ferme, con razionalità al di là del caso specifico. Possono costituire riduzioni del danno emendamenti che traggono le loro motivazioni non da invenzioni eccentriche, ma da elaborazioni dottrinali serie, da riferimenti comparatistici motivati nonché da prassi giudiziarie note e riconosciute? Oppure si deve ogni volta, pur rispettando questi criteri, essere sospettati di intelligenza col nemico?
(*) Senatore Pd
1 commento:
QUEST'UOMO SEMBRA VIVERE SULLA LUNA!
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