

di Riccardo Chiaberge
Ricordi, caro Ostellino? Eravamo liberali in anni non sospetti, nel mitico Sessantotto, quando i liberali (anche quelli illuminati) venivano presi a pomodori in faccia, se non peggio. Ci siamo formati entrambi al Centro Einaudi di Torino, sui testi di Isaiah Berlin, di Raymond Aron, di Karl Popper, di Ralf Dahrendorf. E sai che ti dico? Dopo tanti anni e tanti voltafaccia non mi sono mai pentito, non rinnego nulla. Come te, resto convinto che la democrazia liberale, per dirla con Churchill, sia il peggiore dei sistemi politici a eccezione di tutti gli altri, e che non abbia alternative al di fuori di qualche forma, più o meno larvata, di tirannide. Niente e nessuno potrebbe convincermi del contrario.
MA DEVO confessarti una cosa: se mi viene ogni tanto qualche tentazione di cambiare idea, buttandomi tra le braccia dei pochi bolscevichi superstiti, è proprio leggendo i tuoi articoli. Ieri per esempio, nella tua rubrica sul Corriere, spiegavi ai lettori cocciuta-mente statalisti che prendersela con i “ricchi evasori” è sintomo di pregiudizio ideologico e di invidia sociale. “Fra le libertà del liberalismo – spiegavi – c’è anche quella di arricchirsi ... Una volta che lo Stato abbia provveduto a che sia offerta a tutti l’uguaglianza delle opportunità di farsi valere, saranno capacità e meriti a decretare il successo di ciascuno”. Scusa Piero, ma a questo punto mi domando se tu ed io abbiamo letto gli stessi libri. Mi sembrava di sì, evidentemente sbagliavo. I grandi teorici del liberalismo, se non ricordo male, ci hanno insegnato che la libertà economica è un presupposto necessario della democrazia politica, ma non sufficiente. Se è vero che dove manca la libertà di intraprendere nessuno è libero, non è sempre vero il contrario: basti pensare alle tigri asiatiche o alla Russia di Putin, regimi autocratici dove gli imprenditori sono liberi di fare quattrini e di sfruttare gli operai, ma i cittadini non possono protestare e la stampa è imbavagliata. Anche
E L’ITALIA? Secondo te, come si fa a discettare astratta-mente di uguaglianza delle opportunità, di libero mercato e di concorrenza in un paese dominato dalle oligarchie, dalle caste e dalle corporazioni pro-tette, dove il presidente del Consiglio è un monopolista prosperato all’ombra del potere politico e grazie alle concessioni governative, e dove una cupola affaristica si spartisce gli appalti delle opere pubbliche senza regole né trasparenza? Un paese che ha il primato europeo dell’evasione fiscale, più di Romania e Bulgaria, e dove i nullatenenti viaggiano in Cayenne? Un paese che in larghe porzioni del suo territorio è controllato dalla criminalità organizzata, in cui per gestire non diciamo un’industria, ma un negozietto, devi pagare il pizzo ai mafiosi? Non è

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