di Massimo Fini
L’Italia è proprio un curioso Paese. Privo, oltre a tutto il resto, di memoria, soprattutto nella sua classe dirigente, politica, intellettuale e giornalistica, come dimostra anche il turibolante e totalitario elogio funebre tributato a Francesco Cossiga pur risalendo le sue malefatte a epoca relativamente recente e quasi tutti vivi i testimoni del tempo. Adesso che è in ballo il tinello del presidente della Camera tutti, non solo i “finiani”, ma anche i giornali di sinistra, compreso il nostro, “scoprono” il colossale raggiro che Silvio Berlusconi, in combutta con Previti, operò, nei primi anni ’70, ai danni della marchesina Annamaria Casati Stampa scippandole, per un tozzo di pane, la villa di Arcore (3500 metri quadrati), i Tintoretto, i Tiepolo, i Luini che la arredavano, un parco di un milione di metri quadrati e un immenso terreno di 2.466.000 (due milioni quattrocento sessanta sei mila) metri quadrati nel comune di Cusago. Di tutte le nefandezze attribuite a Berlusconi questa è, dal punto di vista morale, la più ripugnante e grave. Qui infatti non ci troviamo di fronte a un imprenditore che pur di mandare avanti la sua azienda si muove ai limiti della legalità e ogni tanto li oltrepassa, unge le ruote, paga qualche mazzetta ai finanzieri, gonfia le fatture per sfuggire al Fisco e precostituirsi fondi neri e magari, in seguito, corrompe un testimone per salvarsi dalle inchieste della magistratura, tutte cose che (corruzione di testimoni a parte, almeno spero) fanno parte di un collaudato malcostume imprenditoriale ma che sono così generalizzate ed entrate nella consuetudine della società italiana da non essere più percepite nella loro reale gravità. Qui ci sono due figuri che approfittano di una ragazza, all’inizio della vicenda minorenne, diventata improvvisamente orfana di padre e di madre nel più traumatico dei modi. Al marchese Casati Stampa piaceva infatti guardare la bella moglie mentre se la faceva con dei giovani amanti. Ma un giorno, nel 1970, il gioco pericoloso gli sfuggì di mano. La donna si innamorò di uno di questi amanti occasionali e il marchese, pazzo di gelosia, uccise la moglie, il giovane e poi si suicidò. Per sfuggire all’enorme scandalo e ritrovare un po’ di serenità Annamaria riparò in Brasile. E così Previti, che della giovane era stato protutore, e Berlusconi ebbero mano libera.
L’inchiesta di “Gente”
MA
Così vuole la nostra legge. Il Tribunale civile di Roma, con sentenza del 3/12/1999, assolse Ruggeri e L’Espresso avendo ritenuto il giudice, Franca Mangano, “non contestabile la sostanziale veridicità, quantomeno putativa” dei fatti raccontati dal Ruggeri. Condannò invece me argomentando che poiché la querela è un diritto, e non un dovere, del cittadino, non potevo trarre dalla sua mancata proposizione da parte di Previti (e implicitamente di Berlusconi) le conclusioni che ne avevo tratto.
La battaglia giudiziaria
IO AVEVO le mani legate perché ero stato condannato, sia pur con una motivazione abbastanza bizzarra (non potevo trarre conclusioni che lo stesso Tribunale riteneva veritiere). Mi stupì però che L’Espresso, che aveva vinto la causa e di quella importanza, non la cavalcasse e rimanesse in silenzio. In quanto a Ruggeri era stato intimidito a tal punto che scrisse un comunicato in cui diffidava chiunque dal fare riferimento al suo libro. Il che è, a dir poco, singolare. Del resto lo stesso Ruggeri mi aveva raccontato che quando aveva parlato con
Adesso arrivano gli “ante marcia” del dopo, categoria storica in Italia, e “scoprono” la storia della villa di Arcore. Ho detto, all’inizio, che questo è un Paese che, nella sua classe dirigente, è senza memoria. Non è esatto. Politici e giornalisti dimenticano o ricordano a seconda di comodo, convenienza, momento. Che non è un bel modo di fare politica. E tantomeno del buon giornalismo.
2 commenti:
Ricordo benissimo l'articolo di Massimo Fini sulla villa di Arcore e le volte che la ripetevo sentendo parlare dell'"illuminato" che prometteva "luce per tutti".
Non sapevo che questo giornalista era incappato in una così lunga vicenda giudiziaria a causa di quell'articolo.. D'altra parte non c'è da meravigliarsi che nessuno dei Suoi colleghi lo abbia aiutato ed abbia girato la testa dall'altra parte evitando di raccontare il proseguo della vicendaeda. Il "quarto potere" in Italia ha sempre funzionato malissimo, se siamo arrivati a questo punto lo dobbiamo anche ai giornalisti della prima Repubblica che servivano in modo silente i potenti, troppo "partigiani" dei politici e poco dei lettori.
Massimo Fini viene considerato un giornalista contro. Mi piace.
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