di Marco Travaglio
Piero Ostellino è in lutto. Le retate che, giorno dopo giorno, portano via i suoi beniamini del Pdl gli fanno temere un futuro di sconsolata solitudine.
Il ritiro della legge bavaglio da parte degli stessi che l’avevano voluta fa di lui l’ultimo giapponese che seguita a difenderla perché nessuno lo avverte che è finita.
E l’ipotesi di una prematura dipartita del governo Berlusconi lo getta nel più profondo sconforto.
Con tutta la fatica che aveva fatto 18 anni fa per riposizionarsi dopo la scomparsa dell’amato Craxi, il pover’uomo teme di ritrovarsi un’altra volta senza spirito-guida.
Il berlusconismo sta finendo e lui non sa cosa mettersi. Basterebbe poco per avvertirne gli eventuali lettori sul Pompiere della Sera. Un distico nella rubrica delle lettere: “Ostellino chiude per lutto, tornerà quando l’avrà elaborato”. O un annuncio nella pagina dei necrologi: “Silvio, ti sia lieve la terra. Il tuo Piero, vedovo inconsolabile”. O magari una foto dell’insigne pensatore “liberale” che lacrima al muro del pianto di Palazzo Grazioli.
Invece Ostellino, parendogli pochi il 14 per cento di lettori persi dal suo giornale, ha voluto contribuire alla picchiata con un editoriale dal sapido titolo “Il conflitto da evitare”. Una dotta lezione urbi et orbi sulla “prassi giornalistica in una democrazia liberale matura”. Roba forte.
Ciò che l’atterrisce è lo “spettro di una crisi istituzionale” che potrebbe travolgere “i moderati” (il Pdl, figuriamoci) e i “riformisti” (il Pd, figuriamoci). Ma si capisce che ancor più lo sgomenta la caduta del governo.
Basterebbe dirlo chiaramente: mi piace tanto Silvio, lo adoro, non riesco a fare a meno di lui, era dai tempi di Bettino che il cuore non mi batteva così forte.
Invece no, Ostellino si traveste da super partes e dice di volersi “limitare a fornire ai lettori una interpretazione di quanto sta accadendo”. Poi però, siccome al cuore non si comanda, viene fuori al naturale.
Tuona contro la società civile “divisa tra berlusconiani e antiberlusconiani”, sintomo di una pericolosa “sindrome di isteria collettiva” (peraltro presente in tutto il mondo: l’America è divisa tra obamiani e antiobamiani,
Poi strapazza i giornali che “suggeriscono a Fini ritmi e modalità per rendere difficile la vita al governo” e pensano che per “far fuori il ‘caimano’ ogni mezzo è lecito”.
Insomma, “la separazione dei poteri, le garanzie costituzionali e il liberalismo sono temporaneamente sospesi” visto che “non è compito di un giornale disarcionare o tener in sella un governo”.
Ora, in tutte le democrazie del mondo la stampa rende difficile la vita ai governi e, quando riesce a farli cadere denunciando qualche scandalo, viene premiata col Pulitzer.
La separazione dei poteri esiste proprio per consentire ai Parlamenti di controllare i governi e, se del caso, farli cadere. E nella Costituzione non c’è scritto da nessuna parte che i governi non possano cadere, anzi c’è scritto il contrario. Ma tutto questo Ostellino non lo sa. Non s’è nemmeno accorto che non c’è nulla di più illiberale di un partito che, come il Pcus e il Pci, caccia in mezz’ora i dissenzienti senza nemmeno uno straccio di regolare processo.
Un liberale dovrebbe fremere di sdegno dinanzi a un ducetto che fa espellere Fini e i finiani per i delitti di legalità e antimafia, pretende di destituire il presidente della Camera perché non gli bacia la pantofola coi tacchi, compra parlamentari un tanto al chilo e così – nota Andrea Manzella su Repubblica – “viola i tre punti essenziali della Costituzione liberale: la libertà dei cittadini di associarsi in partiti democratici (art. 49); la libertà delle Camere di eleggere i propri presidenti senza imposizione dall'esterno (art. 63); la libertà dei parlamentari di rappresentare la nazione senza vincolo di mandato (art. 67)”.
Ma viene il dubbio che Ostellino abbia studiato il liberalismo sui testi di Verdini, abbia imparato la separazione dei poteri da Capezzone e prenda ripetizioni di diritto costituzionale da Stracquadanio.
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