domenica 22 agosto 2010

Un equivoco. Peggio: la strumentalizzazione di una valutazione «fatta serenamente» e priva di dietrologie. A quasi una settimana dal «caso Torino», co


UGO MAGRI

Perfino nei momenti più drammatici si insinua il virus della comicità. Così qualche genio della politica ha suggerito a Berlusconi di cambiar nome ai suoi galoppini e di ribattezzarli con formula altisonante: «Squadre della libertà». Col risultato che nel gergo corrente diventeranno «squadristi». Peggio di un insulto: un autogol da metà campo. Ma questo accade perché nel Pdl vanno di moda quanti gettano il cuore oltre l’ostacolo, e vogliono distinguersi agli occhi del Capo con la retorica guerriera, si sarebbe detto un tempo, degli «otto milioni di baionette». Dunque gara a chi la sparava più grossa, ieri a Palazzo Grazioli, nella riunione conviviale voluta dal Cavaliere in vista, non si sa mai, di elezioni anticipate. Grandi discussioni preliminari sugli inviti, La Russa contrarissimo a coinvolgere circoli e club («Mica vorremo perdere tempo con questi...», è stato udito vociare), Valducci e la Brambilla che invece premevano per esserci, alla fine tutti quanti intorno al desco del cuoco Michele, da Dell’Utri (molti circoli fanno capo anche a lui) a Mantovani, da Bonaiuti alla Santanché. L’uovo di Colombo cui sta pensando pure Bersani consiste nel mettere tre-quattro attivisti su ciascuna delle 61 mila 202 sezioni elettorali sparse in Italia, che in media raccolgono 7-800 votanti. Come un tempo il vecchio Pci, gli «squadristi» berlusconiani dovranno spulciare gli elenchi, bussare alle porte, premere sugli indecisi, contattare chi va alle urne per la prima volta. Serve un esercito di gambe (più un bel mucchio di soldi). Dove pescarli?

I denari non sono un problema. Quanto ai militanti, «io ne metto in campo 30 mila», «noi invece saremo almeno 40 mila», in un crescendo vertiginoso, con Berlusconi ad ascoltare estasiato e il solo Verdini (l’uomo-macchina Pdl) a riportare tutti coi piedi per terra: «Guardate che i numeri non sono mica questi...». Alla fine decisione del leader: gli «squadristi della libertà» faranno capo al partito, nella persona di Verdini. Pure Silvio si rende conto che non sono maturi i tempi per farne una milizia separata.

Tra una pietanza e l’altra Berlusconi ha confidato il suo vero animo. Andare avanti senza elezioni sarebbe ottimo, però «senza farmi prendere per i fondelli» da Fini e dai suoi, ha ringhiato. Bocchino, che si dichiara d’accordo sul 95% del programma estratto venerdì dal cilindro, manda il premier letteralmente ai pazzi. Mormora al telefono con voce preoccupata Cicchitto: «Alcuni di questi, purtroppo, non hanno capito nulla. Siamo davvero appesi a un filo, perché Berlusconi è determinatissimo, e la pressione della Lega per andare subito al voto è altrettanto forte. Se i finiani credono di cavarsela votando la fiducia al governo e subito dopo, sul processo breve, di rifare a Berlusconi lo scherzetto che gli fecero sulle intercettazioni, si sbagliano di grosso». Il capogruppo Pdl sospira: «In quel caso il governo cadrebbe tempo tre ore». Sarebbe, si appella alla storia Cicchitto, «la pistola di Sarajevo» da cui si scatenò la Prima Guerra mondiale.

Le elezioni verrebbero pretese dal Quirinale (e spiegate al popolo) come conseguenza di «un tradimento della fiducia appena espressa». «E l’Italia sarebbe dalla nostra parte», ostenta sicurezza Bonaiuti, «non si può mandare all’aria un programma di rilancio serio e concreto». Piccolo retroscena: pare che Berlusconi stia premendo con impazienza su Tremonti per farsi suggerire entro agosto qualche misura di alleggerimento fiscale. Così da spargere, quantomeno, l’illusione di un dividendo collettivo generato dalla ripresa dietro l’angolo.

Nello stesso tempo, col suo spiccato senso pratico, il Cavaliere sta cercando i voti in Parlamento per tirare avanti altri 3 anni. Gli basterebbe raggiungere alla Camera «quota 320», così ripete ai gerarchi. Quattro o cinque deputati centristi (oltre ai finiani pentiti) sono nel suo mirino. Ma Berlusconi non esclude di ottenere dall’Udc di più e di meglio. «Sono fiducioso che con Casini riusciremo a concordare un percorso», ripete in queste ore. Niente che possa allarmare Bossi, dunque la maggioranza resterà la stessa. Però emissari di seconda fila gli hanno riferito che Casini potrebbe sostenere alcuni punti del programma, e nel segreto dell’urna magari addirittura una norma salva-premier. Prima di vendere la pelle, il Caimano le tenterà tutte.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

SI AVVICINA A PASSI DA GIGANTE LA RESA DEI CONTI. E' DUBBIO CHI USCIRA' DEFENESTRATO DAL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO. COME IL 24 LUGLIO 1943.