venerdì 29 ottobre 2010

Da Letojanni a Milano scappando dalle comunità


di Caterina Perniconi

A Letojanni tutti si ricordano di lei. Un borgo siciliano di pescatori riconvertito a litorale turistico, col mare davanti e un viadotto alle spalle che spezza il panorama in due. Impossibile per le 2000 anime che vivono qui dimenticarsi di una ragazza marocchina molto appariscente e dal passato turbolento.

FIGLIA DI un venditore ambulante e di una casalinga, cresciuta in una casa alla periferia del paese, Ruby è la più grande di quattro figli, due fratelli di sette e tre anni e una sorella di sei. Ribelle e difficile, stava stretta in quel paesino a metà strada tra Catania e Messina. Dopo aver frequentato la scuola media, Ruby ha abbandonato gli studi, confermando di avere un carattere irrequieto, tanto da essere più volte segnalata ai servizi sociali del Comune.

Tre anni fa, non ancora quindicenne, si era allontanata da casa senza dare più notizie di sè. La polizia l’aveva rintracciata qualche mese dopo, nell’aprile del 2008, affidandola a una casa-famiglia a Messina dalla quale era fuggita quasi subito.

A settembre del 2009 era stata nuovamente fermata dagli investigatori a Genova e affidata a una comunità protetta dalla quale si era di nuovo allontanata.

L’ultima segnalazione ai servizi sociali del Comune di Letojanni risale al febbraio 2010, quando Ruby fugge per la terza volta, a Milano, prima di essere nuovamente fermata dalla polizia nell’ambito delle indagini su un furto. E proprio questo, sostengono alcuni vicini di casa della famiglia, sarebbe uno dei “vizietti” della giovane. L’ultima volta che Ruby era stata vista a Letojanni risale al 25 aprile scorso, in occasione di un raduno motociclistico: tra la folla di appassionati tutti l’avevano notata con il trucco pesante e vestita con abiti firmati in compagnia di una signora di circa 45 anni, anche lei molto avvenente ed elegante. Da quel momento di lei più nessuna notizia.

Fino a ieri, quando Ruby si è messa in contatto con l’esterno tramite il suo profilo Facebook, dove si fa chiamare “Ruby Rubacuori”. É scorrendo i suoi post che si capisce quanto tormento ci sia nella testa di una ragazza di 17 anni. La sua bacheca è piena di foto che raccontano della sua vita da ragazza immagine in discoteca in abbigliamento bondage, in completi di lattice o vestita da diavoletto. Delle sfilate e degli incontri importanti.

MA QUELLO che scrive è ben diverso: “Davanti allo specchio mi soffermo a guardare il mio viso per cercare lo sguardo di quella donna idealista, caparbia, sorridente alla vita, fiduciosa verso gli altri ma non lo vedo più e intuisco il perché, le ferite inferte, le delusioni subite, i grandi dolori hanno cancellato quello sguardo lasciandone uno opaco come questa mia vita insulsa”. Le risponde Raffella, un’amica che non la vede da tempo: “Io ho negli occhi una Ruby diversa da quella delle foto, per me sarai sempre la piccola Ruby che mi parla dei libri, legge, riflette e scrive cose tenere sul diario. Se avrò una figlia spero sia forte come te”. Ruby è una ragazza divisa che risponde disperata: “Ora piangooooo – scrive Ruby – peccato ke non tutti come te hanno avuto modo di conoscere la vera Ruby! Mi auguro che tua figlia sia più forte di me (...) tu hai avuto modo di vedere anche le mie fragilità, i miei pianti, le mie sfortune, con una mamma come te sarà sicuramente più facile fortunata a differenza mia ke la mamma non so dove l’ho persa”.

Una vita dissociata, dalle comunità dove viveva con ragazzine problematiche, a Sant’Ilario, nel levante genovese, alle nottate in discoteca. A Genova la conoscevano tutti, e quando lei raccontava delle sue amicizie milanesi, di essere una “protetta” di Lele Mora o di frequentare la “stupenda” villa di Silvio Berlusconi, la trattavano come una macchietta, una leggenda metropolitana. Però non si spiegavano da dove arrivasse tutto quel lusso. In fondo era sempre una “scappata di casa”. Lo stesso succedeva a Catania: Enrico racconta di averla ospitata a casa una settimana perché amica della sua coinquilina. “Ma non sapeva fare l’ospite. Non puliva, non faceva la spesa e non aveva orari. La notte riceveva lunghe telefonate. Lei diceva che era Emilio Fede ma noi la prendevamo in giro: si si, un asino che vola! Non potevamo pensare che gli asini volassero davvero!”

Nessun commento: