martedì 12 ottobre 2010

LA MIA VITA DENTRO - SECONDA EDIZIONE


(Luigi Morsello)

Dr. Aldo De Chiara*

Scrivere la prefazione alla seconda edizione di “La mia vita dentro”, che ho avuto l’onore di presentare a Napoli il 14 maggio di quest’anno, è una opportunità che intendo cogliere fino in fondo e della quale sono grato a Luigi Morsello e a Roberto Ormanni che me lo hanno chiesto.

La conoscenza personale dell’autore, avvenuta la sera della presentazione, e la verifica diretta dell’ampio consenso manifestato da un pubblico di qualificati addetti ai lavori mi inducono, poi, a essere ancora più esplicito di quanto non sia stato nel corso dell’intervento svolto in quell’occasione nell’esprimere solidarietà e adesione al progetto di Morsello.

Da ex magistrato di sorveglianza, tra il 1976 e il 1981, posso ben comprendere le difficoltà insormontabili che quotidianamente un onesto direttore di carcere, a due passi dal suicidio, ha dovuto affrontare.

Va sottolineato anzitutto il singolare profilo umano e professionale di Luigi Morsello. Dalla lettura del testo emerge la figura di un servitore dello Stato “vecchio stampo”, nell’accezione migliore del termine: le leggi e i regolamenti, certo, al di sopra di ogni cosa, ma anche umanità e comprensione nei confronti dei collaboratori che con abnegazione fanno il proprio dovere, e dei detenuti di cui si sforza di capire le ragioni personali e sociali alla base del delitto commesso e di cui mostra di seguire con trepidazione e partecipazione da neofita il percorso rieducativo voluto dalla Costituzione.

In secondo luogo va dato atto all’autore del coraggio manifestato nello scrivere un libro sul carcere in un momento come quello attuale in cui la profonda crisi economica, sociale, politica e, soprattutto, morale, del paese costituiscono fattori che non invitano a una riflessione approfondita sulla “discarica sociale” che è il sistema penitenziario italiano.

Luigi Morsello questa riflessione ha voluto farla in modo provocatorio e c’è riuscito in pieno.

Chiama a rispondere di insipienza politica la classe dirigente di ieri e di oggi che ha iniziato a riformare il sistema penale da valle, ponendo mano prima alla riforma delle carceri poi a quella del codice di procedura penale: classe dirigente che a tutt’oggi non ha ancora concepito un’attenta e intelligente selezione degli illeciti da punire con la sanzione detentiva e quindi delle persone che effettivamente meritano di andare “dentro”.

Il libro, peraltro, non si inscrive nelle pur condivise, sofisticate analisi sociologiche sulle istituzioni totali di cui il carcere è espressione significativa.

Il testo è semplice, documentata testimonianza delle dinamiche carcerarie nelle quali si riflettono quelle più generali del Bel Paese, resa da chi senza essere stato imputato o condannato vi ha convissuto per trent’anni con l’obiettivo di rendere migliori le condizioni generali degli istituti di pena e di quanti vi sono ristretti e lavorano. A costo di qualche forzatura pagata, come ricorda, a caro prezzo.

E allora non può meravigliare il fatto che nel libro si parli di personaggi di spicco del terrorismo rosso e nero e della criminalità organizzata, di delinquenti comuni, di rivolte tese a ottenere carceri più vivibili, di storie di ordinaria follia, di gesti eroici che non ci si aspettava potessero essere posti in essere da esponenti di quello che fu il corpo degli agenti di custodia, di favoritismi a beneficio dei soliti figli di papà che anche in carcere sono tali, nonché di ammutinamenti (sì, proprio così) contro il direttore “di ferro” Luigi Morsello. Del pari, non può meravigliare che si parli anche, nel libro, di episodi che rinsaldano i rapporti tra direttore, detenuti e “custodi”.

Il carcere è questo e altro, non raramente oggetto di illeciti interessi da parte di “cricche” ante litteram.

Chi non ricorda lo scandalo delle carceri d’oro? Morsello con malcelato orgoglio rivendica di aver constatato, in un ambiente burocratico fortemente gerarchizzato, distorsioni amministrative, trasferimenti poco ragionevoli; in breve, una gestione della cosa pubblica con riferimento al settore penitenziario non sufficientemente attenta ai canoni del buon andamento e dell’imparzialità.

Morsello, da persona leale e intellettualmente onesta, indugia anche all’autocritica, cita presunti errori di valutazione che hanno lasciato segni indelebili.

E’ però il caso di osservare che non sbaglia soltanto chi non agisce per ignavia o altro.

Mi fermo qui per non privare il lettore del piacere di assistere a un interessante film dal titolo “La mia vita dentro”.

Silenzio, lo spettacolo ha inizio.

*Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Napoli

7 commenti:

Anonimo ha detto...

ma dai... son contenta!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

COME DICE BERSANI: UE' RAGAZZI, NON STIAMO MICA A PETTINAR LE BAMBOLE!

Anonimo ha detto...


WELL DONE!

Madda

Francy274 ha detto...

Spiegami una cosa Luigi,
come mai un direttore di carcere è sottoposto a continui trasferimenti da parte delle autorità competenti ? Non sarebbe meglio lasciarlo in sede definitiva in modo da vederne i risultati? Non sarebbero più controllabili le eventuali scorrettezze da parte di questi?
Sono domande che volevo farTi da tempo, ma temo già le risposte :)

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

SOLO COLORO CHE ROMPONO I 'MARRONI'.

Francy274 ha detto...

ahahahah.. ecco, è qui che occorrono le due erre.. va bbè, fa lo stesso!

Francy274 ha detto...
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