martedì 12 ottobre 2010

L’IMPERO ROMANI


Dall’epopea di Telelivorno a Telelombardia
Storia di un ministro “quasi” fallito

di Ferruccio Sansa

“Paolo Romani ministro? No, non l’avrei mai detto. E dello Sviluppo economico poi... roba da matti”. Non è Giorgio Napolitano a commentare così l’ingresso di Romani nel governo. È il giudizio a caldo, il giorno della nomina, di un amico livornese del neoministro. Già, la città toscana conserva un capitolo del curriculum di Paolo Romani che pochissimi ricordano. Una pagina fatta di fantasia, anarchia e ingegno, ma che si è anche svolta in un contesto di stipendi non pagati, conti saldati dalla mamma, tanti protesti. E di un fallimento. Ne esce il ritratto di un “simpaticone”, di un uomo “pieno di energie”, ma anche, sorridono gli amici, di un “bamboccione” che si lanciava in imprese avventurose con i soldi dei genitori. Fino al patatrac definitivo.

ROBA di 35 anni fa. Preistoria. Tanto che per rintracciare i testimoni e i fascicoli che ripercorrono quella vicenda bisogna trasformarsi in archeologi televisivi e giudiziari.

Raccontano Giancarlo Dotto e Sandro Piccinini: “Il 15 gennaio 1975, alle 20,30 sul canale 42 si materializzava per qualche minuto un monoscopio mai visto prima, seguito da un’allucinazione. Lo sconosciuto faccione di Paolo Romani, presidente della Telelivorno spa, comunica, non si sa a chi, che la sua emittente inizia a trasmettere programmi regolari”.

Uno dei primi capitoli della storia delle emittenti private in Italia: alla guida, appunto, Paolo Romani e Marco Taradash, allora due giovani inquieti e intraprendenti che vivevano a Livorno. “Nacque tutto da un’idea di Romani. Eravamo amici, tutti e due della gioventù del Partito Liberale”, racconta Taradash, che oggi è tornato a Livorno e veste i panni di consigliere regionale in Toscana (Pdl).

ROMANI NON SI tira indietro e racconta quegli anni: “Mia madre ci diede i primi soldini per lanciare la televisione. Era un’avventura. Di giorno facevamo le riprese e di notte si andava sul monte Serra, a mille metri, per trasmettere dai ripetitori. Faceva un freddo tremendo... uno di noi faceva il palo per controllare che non arrivasse nessuno, perché la legge all’epoca vietava le trasmissioni. È stata anche una battaglia di libertà”.

Si parte con programmi che sono una via di mezzo tra pionierismo televisivo e puro slancio giovanile: “Di tutto un pop”, “Canale 42”, “Musica sì”, “Non è vero ma ci credo”, “Contrincontro” e “La triglia canterina”.

A guardare quei giovani dai lineamenti ancora incerti trovi tanti volti arrivati poi sulla scena nazionale: Romani e Taradash, ma anche il giornalista Nino Pirito, allora direttore del telegiornale, e Leonardo Pasquinelli, diventato direttore generale di Endemol Italia. Tra gli operatori ecco Marco Sisi, poi approdato alla Rai.

Un’esperienza travolgente, che dice tanto del carattere di Romani. A Livorno, però, adesso che Paolo è diventato il ministro, te la raccontano con cautela. Abbassando la voce. Devi camminare a lungo tra i canali che si infilano in mezzo alle case chiare, dove la città e il porto si incontrano e si confondono. Livorno, toscana, ma con una bellezza senza fronzoli, operaia come la sua storia. Livorno con l’acqua che sa di porto, di cantieri.

Così, scava scava, ricostruisci la storia di Telelivorno. Ripeschi, come dalle acque scure dei canali, aneddoti divertenti. E forse non troppo graditi all’uomo che oggi si aggira con confidenza nei corridoi di Palazzo Chigi: “Paolo è un simpaticone, alla fine, però, ho dovuto fare causa alla televisione perché la società non mi pagava lo stipendio”, racconta uno dei compagni di avventura di allora. Un pizzico di nostalgia e una spruzzata di rabbia: “Beh, ci siamo divertiti, ma hanno fatto qualche casino: gli stipendi non arrivavano mai, a volte provavano a pagarci con buoni della benzina. O magari con piatti di pastasciutta a casa di Paolo... ops, del ministro”.

UNA TV CORSARA: “Si finiva sempre a cena da Carlo, una trattoria toscana di viale Caprera. Tanto poi a pagare c’era tempo”. Ragazzate, si dirà. Romani è un vulcano: “Un giorno – sorride Sisi – tornò dalla Sardegna con la sua Renault 4 carica di videoregistratori che gli aveva dato Niki Grauso. In cambio noi dovevamo fornirgli dei programmi, ma non gli mandammo nulla. Grauso ottenne, però, dei trasmettitori militari Collins che noi avevamo comprato usati. Così nacque Radiolina, l’emittente radiofonica sarda”.

Nel 1975 accanto alla tv nacque anche Radio Libera. Quello che, però, nessuno ha mai raccontato è l’epilogo. Giudiziario. Un rosario di cause di lavoro, di protesti, fino al fallimento. Nel 1976 l’emittente cambia nome, l’esperienza forse comincia ad andare stretta a Taradash e Romani che già sono proiettati verso Roma e Milano, la politica e l’abbraccio di Berlusconi. Poi, nel 1977, le trasmissioni cessano. E, però, l’addio non è indolore: la vicenda finisce in Tribunale. “Ritenuto che la società ha cessato da tempo ogni attività e si trova in palese stato di insolvenza come si evince dai numerosi protesti cambiari”, il giudice il 28 marzo 1978 ne dichiara il fallimento. Si apre anche un fascicolo penale per bancarotta, il 1654 del 1978 (Pretura di Livorno), ma per riuscire a scavare negli archivi della giustizia italiana non basterebbe Heinrich Schliemann, lo scopritore delle rovine di Troia. Che fine ha fatto il fascicolo? “Scomparso. È crollato il tetto dell’archivio”, allargano le braccia al Tribunale di Livorno. Il ministro comunque assicura: “Io ho lasciato la televisione nel 1976 quando sono tornato a Milano, non sapevo neanche che fosse fallita”.

Certo, però, che Romani non ha avuto fortuna con le televisioni. Prima fondò Telelivorno (fallita), poi approdò a Lombardia 7 (fallita). In questo caso fu a lungo indagato per bancarotta preferenziale. Una storia che penalmente si è conclusa con l’archiviazione, ma Romani ha dovuto pagare 400mila euro al curatore fallimentare della sua (ex) tv. Anche una società di ristorazione di cui è stato socio (con una quota minima, va detto) è fallita. Il curriculum giusto per un ministro dello Sviluppo economico?

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

A BERLUSCONI PIACCIONO COSI' I SUOI MINISTRI CHE VA RACCATTANDO FRA I QUASI FALLITI. PERO' VA DETTO, NOI ITALIANI SIAMO PROPRIO COSI'.