
Solo qualche giorno fa Berlusconi tuonava contro le intercettazioni. “Non è possibile – diceva – vivere in un Paese in cui non puoi telefonare in tranquillità”. Dopo avere provato in tutti i modi a far passare il bavaglio in Parlamento, il premier ancora oggi vorrebbe limitare il potere investigativo della magistratura e della stampa. Eppure, secondo le carte della procura di Milano, che oggi ha chiuso le indagini sulla fuga di notizie che portò alla pubblicazione della famosa telefonata Fassino-Consorte (“Abbiamo una banca” diceva il leader Ds riferendosi alla scalata di Unipol a Bnl) è proprio Berlusconi ad avere tratto il massimo vantaggio dalle intercettazioni telefoniche, grazie all’apporto del giornale di famiglia.
Come si legge nell’avviso di conclusioni indagini firmato dal pm Maurizio Romanelli, infatti, il fratello del premier Paolo è indagato non solo per ricettazione e millantato credito ma anche per concorso in rivelazione e utilizzazione del segreto d’ufficio, in “qualità di editore del quotidiano Il Giornale” che il 31 dicembre 2005 pubblicò la conversazione intercettata tra Fassino e Consorte nonostante fosse coperta ancora da segreto istruttorio. L’avviso di conclusione dell’indagine contiene altre due novità: secondo l’accusa la “rivelazione” di quella conversazione, che suscitò polemiche nel mondo della politica, sarebbe avvenuta “in favore” di “Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio in carica”, il quale a sua volta però risulta “parte lesa” per un tentativo di estorsione da parte di Fabrizio Favata.
Oltre al fratello di Berlusconi,

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