PIERO BIANUCCI
Che cosa accadde il 6 ottobre 1582? Questa domanda era frequente nelle interrogazioni di storia al tempo della vecchia scuola nozionistica (l’attuale ha abolito le nozioni spesso senza sostituirvi i concetti, ma è un altro discorso). La risposta giusta, che ben pochi studenti sapevano dare, è: “Nulla, perché quel giorno non esiste”.
Il perfido tranello, causa di innumerevoli brutti voti, è una conseguenza (involontaria) della riforma del calendario introdotta dal pontefice Gregorio XIII, l’ultimo grande contributo dell’astronomia a occhio nudo. Una riforma che tuttora scandisce il tempo in gran parte del mondo e anche la nostra vita. Rievochiamo la vicenda in questi giorni di fine anno, quando i calendari ritornano di attualità.
I giorni che non furono mai sono dieci, e costituiscono un buco, un vuoto pneumatico nella Storia, che va dal 4 al 15 ottobre del 1582, una pausa nel ribollire degli eventi, il solo breve periodo di tempo che non conobbe guerre, soprusi, scontri sociali (ma neanche gesti generosi, scoperte scientifiche, opere d’arte).
Non che Gregorio XIII fosse interessato all’astronomia o agli almanacchi. Semplicemente era un papa che faceva il suo mestiere: aveva a cuore le feste religiose, in particolare la pasqua, e difendeva la chiesa cattolica senza andare troppo per il sottile, come dimostra la benedizione che accordò al massacro dei protestanti compiuto dai cattolici a Parigi nel 1572 durante la notte di San Bartolomeo.
La liturgia cattolica stabilisce che la pasqua deve cadere la domenica che segue la prima Luna piena successiva all’equinozio di primavera. Proprio qui stava il problema: ogni anno l’equinozio arrivava sempre un po’ più presto, e rispetto al tempo di Gesù la pasqua incominciava ad avvicinarsi un po’ troppo al natale.
Mettere d’accordo calendario, stagioni e festività era sempre stato un problema perché l’anno non contiene un numero intero di giorni e tanto meno un numero intero di lunazioni. A causa delle imprecisioni dell’antico calendario romano, al tempo di Giulio Cesare (101-
Giulio Cesare approfittò della campagna d’Egitto per chiedere aiuto all’astronomo alessandrino Sosigene, presentatogli da Cleopatra, che fu imparzialmente amica di entrambi. Per risolvere il problema Sosigene si inventò l’anno bisestile e al fine di rimettere la data al passo con le stagioni consigliò di aggiungere 90 giorni all’anno 708 dalla fondazione di Roma (quello che diventerà poi il
Per quanto piccola, la differenza residua del calendario giuliano comportava l’errore di un giorno in 133 anni, e al tempo di Gregorio XIII aveva accumulato un anticipo di dieci giorni. L’equinozio di primavera veniva quindi a cadere l’11 marzo, mentre al Concilio di Nicea del 325 d.C. si era convenuto che cadesse il 21. C’era inoltre un errore di quattro giorni nella determinazione della Luna nuova in base al ciclo di Metone ai fini di stabilire la domenica pasquale secondo le norme del Concilio di Nicea. Vedremo nella prossima rubrica come se ne venne fuori.
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