Per pagarsi le spese legali Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, si è impegnato a scrivere la sua autobiografia per oltre un milione e 200mila dollari. Non è uno dei tanti che ha deciso di raccontare la sua storia per farsi un po’ di soldi e un po’ di pubblicità. Quei dollari gli servono per difendersi dalle accuse gravissime di cui è accusato in Svezia e da quelle che lo minacciano negli Stati uniti se sarà estradato.
In Svezia Assange è accusato di un reato comune molto grave: lo stupro. Sarà la magistratura svedese a giudicare se quelle accuse abbiano o no un fondamento.Negli Usa, invece, Assange sarebbe probabilmente accusato di spionaggio, sarebbe cioè processato senza nessun alibi e nessuna finzione a causa di Wikileaks. Un processo del genere sarebbe un attentato diretto alla libertà della rete, sarebbe il tentativo più clamoroso di mettere le briglie e la museruola a uno strumento di cui il potere ha sempre più paura, perché è il più forte mezzo di trasparenza, partecipazione e libertà che ci sia oggi.
Molti hanno criticato Wikileaks archiviando le sue rivelazioni come semplici pettegolezzi. “Cosa c’importa – dicono - di sapere cosa pensano politici o diplomatici? L’importante è quello che dichiarano in pubblico, quello che poi pensano davvero sono affari loro”. Ma quando mai! Sapere se un politico pensa davvero le cose che dice oppure le racconta solo per farsi bello o per convenienza, secondo me, è importantissimo. L’idea che i leader politici debbano essere sempre ipocriti e bugiardi perché quelli sono i loro “ferri del mestiere”, e che Internet vada punita se li sbugiarda, è all’origine della degenerazione della politica, della sfiducia che sempre più cittadini nutrono verso essa. Se noi politici smettiamo di averne paura, la rete può diventare non una minaccia, ma uno strumento per restituire all’amministrazione della cosa pubblica la sua nobiltà.
Per sua fortuna, Assange ha potuto vendere le sue memorie per pagare gli avvocati. Però, io mi chiedo, se uno questa fortuna non ce l’ha, se uno fatica a trovare anche solo alcune decine di migliaia di euro di multa, come fa a difendere la propria libertà di operatore della rete? Probabilmente sarà per questa via, con le denunce e con le multe salate, che nel prossimo futuro il potere cercherà di azzittire la rete.
Questo già oggi succede anche in Italia. Dai primi anni del secolo, grazie a un decreto antiterrorismo, chiunque volesse creare un punto di accesso wireless alla rete ha dovuto registrarsi presso il questore e registrare anche tutti i documenti dei suoi utenti. E’ ovvio che uno strumento del genere non serve a niente contro il terrorismo, ma permette di multare decine di punti di accesso, come i bar o le biblioteche, che non rispettano una disposizione burocratica tanto inutile quanto pesante.
Quest’anno, finalmente, alcune di quelle disposizioni assurde sono state ritirate, come quella di registrare i documenti degli utenti. Però questo passo in avanti rischia di trasformarsi in un passo indietro. Senza più la registrazione degli utenti, infatti, la responsabilità di eventuali reati ricade tutta sui gestori. Se si scopre che un utente ha usato Internet in un bar per guardare materiale pedopornografico, la responsabilità è del gestore del bar che fornisce l’accesso a Internet. Come se per punire un attentato fatto adoperando gli impulsi di un telefono cellulare fosse inquisita la compagnia telefonica di cui l’attentatore è utente.
Il governo ha anche rispolverato un decreto del 1992, sinora inapplicato, per cui a installare gli accessi devono essere “installatori patentati”. E per chi trasgredisce a questa norma il cui unico senso è avvantaggiare la lobby degli “installatori” hanno già cominciato a fioccare multe.
Tutte queste norme sono prima di tutto uno specchio della pesantezza burocratica che a parole questo governo dice di voler combattere, per “liberalizzare” gli accessi a Internet, quando è proprio lui a imporre inutili e dannose complicazioni. Ma possono anche diventare, grazie a multe molto grosse che hanno già iniziato a essere comminate, uno strumento per mettere in gabbia Internet e limitarne la libertà.
Noi invece pensiamo che il mondo della rete, come quello reale, sia pieno di voci plurali diverse e contraddittorie e che tutte debbano potersi esprimere in piena libertà, e che le denunce che partono da Internet devono essere difese perché riguardano la libertà di tutti noi e la trasparenza del potere. Per questo siamo e saremo impegnati a combattere tutte le pastoie burocratiche che oggi rallentano lo sviluppo e domani possono diventare strumenti di controllo. Per questo crediamo che oggi sia un dovere per tutti difendere anche la libertà di Wikileaks.
lunedì 27 dicembre 2010
Con Wikileaks per la libertà della rete
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