BILL EMMOTT
La buona notizia riguardo alle ultime rivelazioni di Wikileaks a proposito delle relazioni dei diplomatici americani su Silvio Berlusconi è che distolgono l'attenzione dai party e dalla vita privata «rilassante» del presidente del Consiglio. Molti italiani, soprattutto sostenitori del governo di centro-destra, hanno a lungo lamentato l'eccessiva attenzione internazionale agli scandali sessuali. La cattiva notizia, tuttavia, è che queste rivelazioni ora concentreranno l'attenzione là dove avrebbe sempre dovuto appuntarsi: sul rapporto tra imprese e governo, e soprattutto tra interessi economici personali e l’esercizio della politica estera.
Le rivelazioni, che sono sostanzialmente rapporti di voci in circolazione a Roma e all'interno dello stesso partito di Berlusconi, non dovrebbero sorprendere alcun osservatore internazionale che dal 2001 abbia seguito da vicino la politica italiana. Né, ovviamente, possono necessariamente essere ritenute precise: sono accuse e sospetti, non fatti dimostrati. Ma tali indiscrezioni guadagnano un di più di autorevolezza se provengono dai messaggi di diplomatici americani, dalla consapevolezza che queste convinzioni hanno fatto la differenza negli atteggiamenti e nelle politiche relative alla sicurezza della superpotenza mondiale.
Ovviamente un alleato chiave per l’Italia. Inoltre, dovrebbero rammentarci qualcos’altro che è di fondamentale importanza nelle relazioni internazionali. Questo cruciale valore aggiunto è la fiducia. Normalmente, tra alleati di lunga data, e soprattutto tra alleati che sono democrazie, la fiducia negli affari esteri è consolidata da lunghi anni di conoscenza sempre più approfondita degli interessi sottotraccia e delle motivazioni di ciascun Paese. Per quanto riguarda
Tale consapevolezza è stata un po’ complicata dal rapido inserimento di Gerhard Schroeder in un incarico assai ben remunerato come presidente del gasdotto russo-tedesco poco dopo aver lasciato la carica di Cancelliere della Germania. Dato che si era pubblicamente espresso a favore dell’operazione quando era Cancelliere, molti critici ritennero inappropriato che avesse accettato l’incarico, anzi persino scandaloso, e avevano sicuramente ragione. Ma questo sgarbo non ha minato la fiducia nella politica tedesca verso
L'importanza delle accuse riguardanti Berlusconi e Putin è che, contrariamente al caso tedesco, sembra che abbiano minato la fiducia americana riguardo le linee della politica estera italiana nei confronti della Russia e sollevato dubbi circa la coerenza di tale politica nel passato. Pur attribuendo un chiaro valore al sostegno fornito dall’Italia per le operazioni militari in Afghanistan e Iraq, tanto dal governo Berlusconi 2001-06 come da quello di Romano Prodi nel 2006-08, questi dispacci diplomatici indicano che in America si sono diffuse l’esasperazione, la diffidenza e anche l’amarezza per il corso della politica italiana nei confronti della Russia, in un periodo in cui il comportamento russo stava di nuovo causando particolare preoccupazione a Washington. L'essenza di questa diffidenza, è importante ripeterlo e sottolinearlo, non si fonda sul tema della politica «giusta»: un argomento del genere potrebbe essere discusso pubblicamente e del tutto apertamente con un alleato democratico come l'Italia. No, l'essenza della diffidenza sembra essere sorta dalla convinzione che la politica italiana era diventata personale e non nazionale, e dal sospetto che nascondesse interessi commerciali - di nuovo personali e non nazionali.
Tutti i governi, e tutti i capi di governo, coltivano l'idea che stretti rapporti personali fra i leader possano essere utili nelle relazioni internazionali. L’affiatamento tra Bill Clinton e Tony Blair, per esempio, sembra sia stato considerato un bene tanto in America come in Gran Bretagna. Il problema di queste rivelazioni non verte su questo tema: normalmente, sarebbe un vantaggio per uno o più leader europei godere di una sorta di relazione privilegiata con il leader russo. George W. Bush, dopotutto, ha affermato di aver «guardato nell’anima di Putin», quando i due si incontrarono per la prima volta. Queste accuse, però, vanno oltre la chimica personale.
La loro essenza mi richiama inevitabilmente alla mente la ben nota copertina pubblicata da The Economist, nel 2001, quando ero capo redattore della rivista: dichiaravamo che Silvio Berlusconi era «inadatto» a governare l'Italia. Questo non aveva niente a che fare con scandali sessuali. Aveva piuttosto qualcosa a che fare con prove e incriminazioni. Ma, soprattutto, la nostra motivazione e la nostra preoccupazione concernevano i pericoli per la democrazia insiti in una relazione troppo stretta tra un potente uomo d'affari e le istituzioni di governo. Era inevitabile che sorgesse il sospetto che le politiche del governo venissero orientate a favore degli interessi commerciali individuali o societari. E tali sospetti e accuse corrodono profondamente la fiducia nel governo, anzi nello stesso capitalismo.
Ora, da queste rivelazioni di Wikileaks, possiamo vedere che questi sospetti corrodono anche la fiducia tra gli alleati in tema di politica estera. Questo logorio è in atto da molto tempo. Ma renderlo di pubblico dominio ora rischia di rendere ancora più profonda, e più diffusa, la diffidenza.
Traduzione di Carla Reschia
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