FRANCESCO MERLO
SPARAVA e uccideva perché "meglio delinquente che borghese" e ora, raccomandato dell'Atac, la municipalizzata dei trasporti di Roma, Francesco Bianco si sfoga su Facebook come sui muri delle latrine contro gli ebrei e contro gli studenti che andrebbero ammazzati a "colpi di mortaio", oppure "ricoperti di pece bollente". Assunto per misericordia militante dal sindaco Alemanno, il terrorista dei Nar Francesco Bianco, che una volta assaltava armerie, si è ora acquattato nell'impiego piccolo piccolo dell'Atac e invita i ragazzi a cercarsi anche loro una raccomandazione come ha fatto lui. E qui non si capisce più se l'irrisione è ancora rivolta agli odiati studenti o, piuttosto, all'odiato se stesso: "Annate a lavorà e se non ce riuscite fateve raccomandà".
Insomma, assunto come caso pietoso, raccattato dalla prigione per solidarietà criminale, il terrorista dei Nar continua a fare terrorismo ma con altri mezzi, molto più scalcagnati e molto più miserabili, un terrorismo disperato che somiglia al mugugno, al broncio, al livore di chi voleva indossare la sahariana o il kepì o la mimetica ed è invece ridotto a inveire nelle retrovie informatiche indossando la grisaglia dell'impiegato. Anche il vecchio antisemitismo ha il sapore depresso della frustrazione. E' infatti con un gioco di parole che Bianco se la prende con Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica. E però Bianco non osa attaccare Pacifici a viso aperto, non ce la fa ad insultarlo per via diretta. Dunque la chiacchierata con gli amici e le amiche di Facebook sfuma nelle allusioni e nei rimandi. Questi furboni sfruttano - pensate l'originalità! - l'ambiguità del cognome Pacifici: "me sembrano pacifici... lasciali passa'", "giusto pacifici... praticamente giudei".
Come si vede, è lo stesso Bianco di sempre, quello che faceva l'autista del commando che uccise Roberto Scialabba. E' ancora il camerata di guerra che per ora può solo concedersi un terrorismo sfigato, un antisemitismo mimetizzato nella vetrina di quegli stessi giovani che odia perché non capisce, e dove si esibisce pensando che nessuno gli chiederà il conto. E' la via più comoda e anche la più vile, proprio come erano vili gli agguati di trent'anni fa, le spedizioni punitive, le bombe, i coltelli, le uccisioni e le violenze dei terroristi, ovviamente non solo neri ma anche rossi. La protervia e l'irresponsabilità sono le stesse di allora anche se adesso stanno accucciate nello stipendio comunale, nella prebenda dell'Atac dove Bianco è stato assunto per chiamata diretta da un sindaco che evidentemente ha un debito con quel codice, forse un complesso di colpa, certamente una comunanza, una mutualità antica e irrisolta. Entrambi hanno cambiato vita. Ma quanto sono cambiati, visto che l'uno si specchia nell'altro?
Di sicuro sistemare Bianco all'Atac è stato soccorso militante ed è linguaggio di setta, rivela un'appartenenza del quale Alemanno non sa liberarsi, come una malattia che ristagna senza evolversi. L'album di famiglia eversivo e violento produce ancora vibrazioni d'amore e d'orgoglio. Ma l'Atac non è una corsia d'ospedale ideologico né un centro di assistenza per psicopatici politici e Alemanno non è Freud né Jung. Il sindaco deve amministrare la città e i suoi difficili trasporti e non le anime perse della politica. Anche se davvero Bianco e gli altri estremisti neri fossero cambiati, cosa c'entrerebbero con l'Atac? E però, grazie a Facebook, ora sappiamo che Bianco non è cambiato, a conferma che l'Atac non guarisce le turbe psico politiche. E' una struttura filotranviaria che mai e poi mai può risolvere i problemi dei disturbati. La solidarietà criminale delle istituzioni rischia invece di legittimare la parte più facinorosa della protesta studentesca che è un mondo confuso con il quale tutti, a partire dal presidente Napolitano, vogliono interloquire.
Per evitare vecchi riflessi condizionati fascismo-antifascismo sarebbe bene chiarire ai ragazzi che protestano che questa pattuglia di estremisti raccomandati di Alemanno non c'entra con il fascismo che fu la tragedia di un'altra generazione. Qui c'è invece il passato eversivo e violento degli anni settanta che manda vampate al sindaco di Roma. E' infatti Alemanno che Bianco svela ancor più di se stesso. Ed è con Alemanno, oltre che con se stesso, che sotto sotto Bianco ce l'ha. Bianco è l'anima del branco che si sente minacciata dalla nuova identità istituzionale. Bianco è la prova che Alemanno non sa muoversi in modo discreto e composto. Mescola infatti il familismo con l'esercizio del potere simil democristiano e intanto coltiva un languore nostalgico che lo rende goffo come primo cittadino di Roma, senza un rigoroso stile di governo, scarsamente credibile, incapace di diventare adulto nella democrazia, che richiede educazione, morale e quel vero coraggio che è rinunziare a se stessi per diventare se stessi.
(28 dicembre 2010)
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