di Davide Milosa
Il corpo sta lì in terra. Incaprettato. Proprio dietro alla porta d’ingresso. Caviglie e piedi stretti con alcuni ritagli di tela colorata. Un gamba, poi, è legata al letto attraverso un filo elettrico. A guardar bene sembra proprio quello di un ferro da stiro. Tutto attorno regna il caos. Ci sono bottiglie di birra, mozziconi di sigaretta. E quel puzzo tremendo che punge gli occhi. “In avanzato stato di decomposizione” annoteranno, infatti, gli agenti della volante che sono entrati nell’appartamento al terzo piano di via Garcia Lorca
IL CASO finisce in mano al pm Piero Basilone. L’inchiesta è delicata. Almeno questo si annusa alla procura di Milano. Certamente complicata.
Difficile orientarsi. Poche certezze emergono dai giornali locali di quei giorni.
Ci sono solo scenari: si ipotizza, addirittura, un regolamento di conti. La vittima aveva precedenti e si manteneva facendo l’operaio nella ditta di un costruttore edile della zona. Ma sono solo buchi nell'acqua.
Si ritorna allora nella casa di Mohamed. A tratteggiare il movente giusto è, infatti, la fotografia di quell’appartamento. Due stanze e un bagno al terzo piano di un anonimo palazzo piantato quasi all'incrocio con via Ragazzi del 1899. Oltre solo un pratone. E poi l’autostrada. Il corpo viene ritrovato con i pantaloni calati fino alle ginocchia e gli slip abbassati. Sta vicino all’ingresso. Pochi passi e si apre la camera da letto. E qui un particolare appare subito evidente: il muro sopra la testata del letto è imbrattato di sangue. Tutto attorno le pareti sono tappezzate da poster maschili. Alcuni appaiono strappati. In casa, gli agenti trovano diverse filmini a tema omosessuale. L’aria è tutta quella di un festino finito male.
QUELLA NOTTE , però, capita qualcos’altro. Due uomini, usciti proprio dal civico 5 di via Garcia Lorca, salgono sull’auto della vittima. Si schiantano cento metri dopo. Un testimone li vedrà allontanarsi a piedi. Quando arrivano, gli agenti della volante trovano solo l’auto. Che non risulta rubata. Recuperano l’indirizzo e lasciano un bigliettino nella casella della posta di Mohamed. Dovrà presentarsi il giorno dopo per chiarire. Non succederà mai. I giorni passano. E i biglietti si accumulano. In commissariato nessun sospetto. Qualche dubbio viene al vicinato. Mohamed non si vede da giorni. Eppure la televisione è sempre accesa. Il particolare è decisivo: un agente chiama il 118. I vigili entrano e trovano il cadavere. Dopodiché si avverte l’autoparco di Parabiago. Si riesuma l’auto. Saltano fuori le chiavi di casa.
IL RITROVAMENTO casuale non scioglie i fatti. In casa della vittima il cellulare è sparito. Bisognerà lavorarci sopra. Si cercano due uomini stranieri. Nazionalità imprecisata. Intanto, però, il racconto della vicina di casa fissa un punto importante. Qualcosa nel commissariato di Legnano non ha funzionato. Il pm Basilone acquisisce le telefonate giunte alla centrale di Busto Arsizio. Emergono alcune chiamate (si dice di un uomo in difficoltà), proprio il 7 di maggio, poi girate a Legnano. Cosa sia successo dopo resta un mistero imbarazzante. Distrazione, superficialità o altro. Fatto è che a fine agosto l’avviso di garanzia atterra sul tavolo del centralinista della polizia. L’accusa è gravissima: omicidio colposo.
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