DONADI RISPONDE A DE MAGISTRIS, ALFANO E CAVALLI: “GLI ABBIAMO STESO TAPPETI ROSSI E CI PUGNALANO”
di Eduardo Di Blasi
“Abbiamo steso i tappeti rossi per candidarli alle Europee, e adesso prendono a pretesto una questione morale inesistente per condurre una battaglia politica di potere all’interno del partito”. Massimo Donadi, capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera, adopera un tono amareggiato: “È stata una pugnalata alle spalle”, dice.
Parla dell’appello che gli europarlamentari Luigi De Magistris e Sonia Alfano, assieme al consigliere regionale lombardo Giulio Cavalli, hanno lanciato in rete (ripresi da Il Fatto Quotidiano) per denunciare quella che ritengono essere una deriva morale del partito di cui fanno parte. Già il giorno prima, con una durissima nota congiunta, Donadi con il suo omologo al Senato Felice Belisario e il portavoce del partito Leoluca Orlando, aveva attaccato quella presa di posizione, arrivata a ridosso degli abbandoni dal gruppo alla Camera - direzione Silvio Berlusconi - di Domenico Scilipoti e Antonio Razzi (definiti “le ultime vergogne”).
IL GIORNO DOPO Donadi prova a contestualizzare quello che definisce un “attacco a freddo”. Spiega (ne scriverà anche sul proprio blog), che questa pubblica denuncia arriva sui media senza mai essere stata mossa nelle sedi del partito: “Facciamo un esecutivo ogni tre mesi, ci sono gli incontri dei gruppi di Camera, Senato ed Europarlamento: in due anni non ho mai sentito fare da loro un solo nome di un signore delle tessere, o di un corrotto. Certo, a parole, sui giornali, possono dire di aver difeso la moralità del partito, ma nel partito, dentro gli organi deputati a questo, la loro voce su queste cose non si è mai sentita”. È un fiume in piena Donadi: “Certo, siamo un partito ancora ‘giovane’, è chiaro che dei problemi li abbiamo. Una classe dirigente non si inventa da un giorno all’altro. Ma vi ricordate i primi anni della Lega Nord? Con
Forse non si aspettavano una risposta così dura da parte del loro gruppo dirigente, e la tirata d’orecchi di Antonio Di Pietro (“voglio credere che tutto questo lo facciate per il bene del partito”) non deve aver fatto piacere.
Ribadiscono però che “la riflessione” scritta a tre mani è “secondo il nostro modo di intendere la politica un atto d’amore per il partito, un segnale di profondo rispetto per quello che l’IdV è nelle aspettative dei suoi moltissimi militanti e elettori”. Spiegano di essersi fatti carico di un disagio che la base avverte (i tanti commenti alla nota sulla “questione morale” sul sito del Fatto Quotidiano testimoniano una certa attenzione al tema) e che affrontarlo, è un modo per creare un “soggetto politico sempre più credibile”.
ANCHE NEL PARTITO, affermano, hanno fatto sentire la propria voce: “Le questioni sollevate - spiegano - sono le stesse che da mesi continuiamo a analizzare e discutere nelle centinaia di incontri che abbiamo con i nostri iscritti in tutta Italia, nelle sedi istituzionali in cui rappresentiamo l’Idv e negli organi di partito”. Spiegano di avere anche incontrato Antonio Di Pietro poche settimane fa e di aver posto il tema. “ Il dibattito - concludono - è il sale della democrazia e della crescita politica da sempre, a meno che qualcuno non voglia alimentare una visione padronale del partito che riduce i membri e gli eletti a pedine telecomandate. Non rappresentiamo noi stessi ma i tanti militanti che danno l’anima per questo partito e per questo crediamo che negare una questione morale dopo episodi come quelli di Razzi, Scilipoti, Porfidia e altri nei territori sia (questo sì) irresponsabile”.
5 commenti:
Sono solo tre cialtroni.
La cara e vecchia politica...esce dalla porta e rientra dalla finestra...
ALLORA SEID'ACCORDO CON ME, CHE SONO TRE CIALTRONI?
Di Pietro farebbe bene a rivedere un pò le regole del partito, visto i tempi che corrono dove la lealtà di un politico è ormai direttamente proporzionale alle "mazzette" del più danaroso.
Chi abbandona un partito per un altro deve prima rivolgersi al suo elettorato per riceverne il consenso o meno. In caso di diniego il politico in questione deve abbandonare carica e denaro e ricominciare dalla gavetta.
E' democratico per un cittadino qualunque cambiare partito ma non lo è per un politico in carica che rappresenta gli elettori che lo hanno votato.
Certo, mi sembra giusto, ma solo in un 'paese normale'. In Italia non lo è perché l'elettorato di un parlamentare è il suo segretario di partito, visto che abbiamo una legge elettorale, definita 'porcellum' da Giovanni Sartori, per la quale le liste c.d. "bloccate", cioè senza preferenze, le fa il segretario di partito. Come ovviare all'inconveniente, oltre a cambiare la legge elettorale? Io ho sentito solo una proposta, di fare le c.d. "primarie" anche per i singoli parlamentari, mettendoli in lista secondo l'ordine della preferenze. Però non se n'è parlato più! Chissà perché! ;-)
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