lunedì 27 dicembre 2010

Via libera condizionato al legittimo impedimento


FEDERICO GEREMICCA

Nemmeno i termini tecnico-giuridici, stavolta, riescono ad attutire la portata della notizia. Che è la seguente: con «sentenza interpretativa di rigetto», la Corte Costituzionale si accingerebbe a respingere il ricorso proposto dal pm milanese De Pasquale circa la costituzionalità della legge sul legittimo impedimento. Questa, almeno, è la soluzione che il giudice relatore del caso (Sabino Cassese) proporrà agli altri membri della Corte, che torneranno a riunirsi per la sentenza l’11 o il 12 gennaio.

La relazione istruttoria di Cassese dovrebbe essere già da qualche giorno a disposizione di tutti i membri della Corte, che la studieranno e ne discuteranno prima di dar via libera ad un verdetto dal cui tenore - secondo molti - dipenderebbero addirittura le sorti della legislatura. Ma che vuol dire «sentenza interpretativa di rigetto»? E qual è - nella sostanza - il parere che la Corte Costituzionale starebbe maturando sul legittimo impedimento? Proviamo a spiegare nella maniera più semplice possibile l’orientamento maturato dal relatore e, quindi, quel che la sentenza di gennaio dovrebbe affermare. Nella sostanza, il sottile confine che fa del legittimo impedimento una norma costituzionale oppure incostituzionale, sta tutto in una parola-chiave:
automatismo.

Secondo il relatore, infatti, se si ritenesse (interpretasse) che l’essere ministro o presidente del Consiglio costituisse di per sé un legittimo impedimento a rispondere alla convocazione in tribunale da parte dei giudici, questo equiparerebbe di fatto lo «scudo» ad una vera e propria (e automatica) «immunità» che, in quanto tale, andrebbe disciplinata con legge costituzionale. Se, al contrario, la valutazione del legittimo impedimento invocato dall’imputato (in questo caso si parla di Berlusconi)
venisse di volta in volta affidata al giudice di competenza, allora nulla osterebbe a che la materia fosse regolata (come è nel caso, appunto, del legittimo impedimento) con legge ordinaria. Ed è precisamente così, secondo la «sentenza interpretativa» che la Corte si accingerebbe ad emettere, che la legge andrebbe dunque intesa e, quindi, applicata.

L’orientamento del relatore - se confermato dal «plenum» della Corte - potrebbe sembrare il solito bizantinismo giuridico o, peggio ancora, somigliare ad una decisione pilatesca, che rigetta la patata bollente nel campo in cui litigano da anni
Silvio Berlusconi e i magistrati che provano a processarlo. In realtà, è possibile anche un’altra interpretazione: e cioè che si tratti del tentativo da parte dei giudici della Corte di tenere assieme diritti e doveri fondamentali e costituzionalmente garantiti. In sostanza: da una parte salvaguardare il principio secondo il quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, e dall’altra il diritto-dovere dei membri dell’esecutivo a governare e ad assolvere le loro funzioni senza impedimenti e turbative. In realtà, stante il fatto che il legittimo impedimento è regolato con legge ordinaria, è apparso fin da subito evidente che la sua applicazione avrebbe richiesto serietà di comportamento da parte dei soggetti in causa. Serietà o - meglio ancora - quello spirito di «leale collaborazione» tra autorità politica e giudiziaria invocato dal presidente Napolitano all’atto della firma della legge, nella primavera scorsa. Uno spirito di collaborazione che dovrebbe evitare che il premier o i suoi ministri invochino un legittimo impedimento in ragione di impegni irrilevanti e rinviabili; e che, contemporaneamente, porti il giudice a riconoscere serenamente il diritto a ricorrervi, nei casi seri e comprovati.

Nulla a che vedere, insomma, con quanto accadde nel caso di Aldo Brancher che, nominato ministro, invocò subito il legittimo impedimento in quanto occupato a «organizzare il ministero»: e dovette intervenire il Quirinale per affermare che, visto che si trattava di un ministero senza portafoglio, Brancher non aveva un bel nulla da organizzare... Occorrerà attendere ancora un paio di settimane per vedere come finirà questa spinosissima questione e se la Corte farà propria in toto l’impostazione proposta dal relatore. Quel che invece è certo fin da ora, è che i giudici sono attesi da un lavoro tutt’altro che facile, sottoposti come sono da giorni agli attacchi preventivi del presidente del Consiglio e sul cui capo si vorrebbe addirittura far pendere la responsabilità di una crisi di governo o addirittura di elezioni anticipate nel caso di bocciatura del legittimo impedimento. In un Paese normale, l’interpretazione della legge che la Corte si accingerebbe a proporre e lo spirito di «leale collaborazione» invocato da Napolitano sarebbero del tutto inutili: perché scontati e dunque superflui. Ma sono anni che l’Italia appare quanto di più distante vi sia da un Paese normale. E non è detto, purtroppo, che l’avvio del 2011 - con tutto quel che rappresenta quest’anno celebrativo - faccia uscire il Paese da questa insopportabile anomalia, piuttosto che tenerlo prigioniero della
guerriglia politico-giudiziaria che lo soffoca da ormai vent’anni...

3 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Io sono un cittadino qualsiasi, non un costituzionalista e nemmeno un esperto di diritto, pur avendo una laurea specifica. Ma ho buona memoria e questa soluzione, proposta fatta da Sabino Cassese – giudice costituzionale relatore - a mio giudizio è a dir poco funambolica, ben oltre ogni pilatesca soluzione prospettabile.
Leggiamo l’articolo, laddove recita: “ Se, al contrario, la valutazione del legittimo impedimento invocato dall’imputato (in questo caso si parla di Berlusconi) venisse di volta in volta affidata al giudice di competenza”. Ebbene l’ordinamento processuale già prevede una simile norma, che affida alla valutazione del giudice penale l’impossibilità dell’imputato per qualsivoglia motivo di presenziare alle udienze, al di fuori dell’ipotesi della contumacia.
Dunque? A che serve la sentenza interpretativa? Anzi, dovrebbe la Corte Costituzionale cancellare il ‘legittimo impedimento’ per sovrapposizione di norme di pari valore e contenuto, rilevando l’incongruenza della norma successiva rispetto alla identica statuizione della norma precedente, salvo la circostanza che nella norma successiva di parla di Presidente del Consiglio e dei suoi Ministri.
Insomma, è legittimo dubitare che al Corte sia stata fortemente influenzata dall’azione incalzante, martellante di Silvio Berlusconi. Minaccia dunque di ripetersi la stessa situazione che portò alla nascita del fascismo, per incoerenza del Re Vittorio Emanuele III, con l’unica e non lieve differenza che il fascismo lasciò una Italia distrutta dalla II^ Guerra Mondiale, il berlusconismo lascerà macerie bene più gravi e non ricostruibili, le macerie della democrazia e delle istituzioni repubblicane, in definitiva della stessa Costituzione Repubblicana.
Le due situazioni hanno un medesimo minimo comune denominatore: l’ignavia.

Francy274 ha detto...

Usare le giuste parole è ormai una forma andata nel dimenticatoio insieme alla Costituzione.
Ignavia. E' proprio di questo che è malata l'Italia di oggi.
L'essere incapaci di asserire la propria posizione e accettarne la responsabilità, mascherandola come ragionevolezza o peggio ancora come tolleranza. La codardia nel non sottolineare la propria posizione chiara, pur cercando un compromesso, è il male comune di una immoralità che dilaga ovunque.
Grande maestro B.
L'Italia una piccola Russia, un piccolo regno per un sovrano mignon che ha calpestato giganti codardi!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

SIAMO SINTONIZZATI SULLA STESSA LUNGHEZZA D'ONDA.