Ancora vane le ricerche del corpo della 13enne di Brembate. Sulla lista dei sospettati il 23enne Mohammed Fikri, sul quale pesa un'intercettazioni. Gli investigatori ritengono, però, che a violentare e a uccidere la ragazza siano stati due italiani le cui identità restano sconosciute
Mohamed Fikri, indagato per la scomparsa di Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa il 26 novembre scorso a Brembate (Bergamo), potrebbe essere presto scarcerato. Il pm Letizia Ruggeri, infatti, al termine dell’udienza di convalida del fermo non ha chiesto la custodia cautelare in carcere in quanto non vi sarebbero più indizi di gravità tale da richiedere la custodia cautela. Proprio attorno al nord africano e ad altri due italiani ruotavano le indagini. Fino a qualche ora fa secondo l’accusa il nordafricano avrebbe solo partecipato al sequestro. Mentre due italiani avrebbero violentato e ucciso la minorenne.
A dare la prima svolta all’inchiesta è stata la cattura di Mohamed Fikri, 22 anni, arrestato sabato sera, mentre si trovava a bordo di una nave con destinazione Tangeri. La seconda accelerazione è arrivata domenica con l’intercettazione dello stesso ragazzo. Frasi fondamentali da cui si intuisce che il ragazzo non ha agito da solo ma assieme ad altre due persone, probabilmente di nazionalità italiana. Oggi Mohamed si trova nel carcere di Bergamo, accusato di sequestro di persona, omicidio e occultamento di prova.
Un quadro terribile che non trova, al momento conferme nell’interrogatorio davanti al gip. Mohamed era stato sentito domenica anche dal pm. “Ha fornito le sue giustificazioni”, ha detto il sostituto procuratore Letizia Ruggeri. In poche parole, Mohamed non ha svelato che fine ha fatto Yara, non ha svelato chi sono i due italiani misteriosi e si è dichiarato estraneo a tutta la vicenda.
Ma chi è Mohamed Fikri? Il nord africano ha 23 anni e dal giugno del 2010 risiede a Montebelluna, in provincia di Treviso, vicino a piazza IV Novembre, zona abitata da immigrati. In Veneto, però, ci è rimasto poco: l’immigrato gira l’Italia lavorando come muratore nei cantieri. In Lombardia ci arriva per lavorare come operaio in una delle ditte che stanno costruendo il grande centro commerciale di via Regia, ai confini tra Brembate e Mapello. Esattamente la zona in cui cani della polizia di Lugano indirizzano le ricerche di Yara. E’ martedì scorso. E da qui gli investigatori iniziano a riannodare i fili dell’indagine.Vengono messi sotto controllo i telefoni di tutti gli operai del cantiere. Sono gli stessi colleghi di Fikri che oggi negano di averlo mai conosciuto. Il paziente lavoro di ascolto è stato premiato pochi giorni fa quando il 23enne marocchino ha pronunciato al cellulare alcune frasi. Una su tutte: “Allah mi perdoni, ma non l’ho uccisa io”. Il cugino di Mohamedd, però, nega e controattacca: “E’ stato fatto un errore nella traduzione dell’intercettazione. Mio cugino avrà sicuramente detto Allah mi protegga”. Da altre telefonate, invece, verrebbe fuori il ruolo di due italiani nella scomparsa di Yara. Ma i loro nomi non vengono mai citati per nome e cognome.
Nel frattempo è lo straniero a finire in cima alla lista dei sospettati. Per gli investigatori la circostanza decisiva sarebbe l’assenza improvvisa per qualche giorno dal lavoro e l’acquisto di un biglietto in un’agenzia viaggi. Per i magistrati un chiaro tentativo di fuga. Da qui la scelta della procura di emettere un provvedimento di fermo. A difendere la condotta di Mohamed, ancora una volta, è il cugino: “Nulla di strano. Mio cugino agli inizi di dicembre, quando le richieste di lavoro in Italia diminuiscono, ne approfitta per tornare al proprio paese”. Intanto il cerchio sul caso di Yara sembra stringersi con le ricerche degli investigatori riprese nel pomeriggio dopo un rallentamento causato dal maltempo.
1 commento:
L’impressione che si riceva ormai da qualche tempo è di una penosa inadeguatezza degli apparati investigativi a partire del P.M.
Nel caso specifico addirittura sarebbero state intercettate due navi, ognuna della quali aveva a bordo un omonimo!
In molti casi si è trattato di P.M. di piccoli uffici giudiziari, ma qui siamo a Bergamo, eppure non si è riusciti di evitare di arrestare una persona che con ogni probabilità non ne sa nulla, salvo a dimostrare che si è trattato di un testimone che non vuol parlare o di un concorso in reati gravi come il sequestro di persona a fini di stupro conclusosi drammaticamente in omicidio e occultamento di cadavere.
In ogni caso, esempi del genere legittima e danno forza e vigore alle argomentazioni di chi vuole sperare le carriere di magistrati dell’ufficio del P.M. e di magistrati giudicanti, dimodochè ognuno faccia una ed una sola carriera in cui maturare l’esperienza necessaria a svolgere al meglio la propria funzione.
A me sembra che l’attuale assetto non debba essere modificato, semmai va adottato un correttivo nel senso di affiancare investigatori di piccoli uffici giudiziari con altri ben più idonei ad affrontare casi complessi o nei quali i primissimi giorni sono quelli che consentono di scoprire i colpevoli.
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