mercoledì 19 gennaio 2011

Buttiamo via la chiave?


di Bruno Tinti

Il diritto è proprio una cosa complicata. Prendiamo la promessa di B. a Ruby: “Le pagherò il prezzo che lei vuole, l’importante è che lei chiuda la bocca, che neghi il tutto, l’importante è che lei mi tiri fuori da tutte queste questioni, che io non ho mai visto una ragazza di 17 anni o che non è mai venuta a casa mia”. “Ruby ti do tutti i soldi che vuoi, ti pago, ti metto tutta in oro ma l’importante è che nascondi il tutto” (Intercettazioni trasmesse alla Giunta per le autorizzazioni).

Queste promesse integrano il reato di cui all’art. 377 codice penale? Oppure no? La cosa è, come dicevo, complicata assai.

La norma dice: “Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazione davanti all'autorità giudiziaria... per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis... (falsa testimonianza al pm), soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi (fino a 4), ridotte dalla metà ai due terzi. La stessa disposizione si applica qualora l'offerta o la promessa sia accettata, ma la falsità non sia commessa”.

A PRIMA VISTA B. ha commesso questo reato: ha offerto soldi (tanti) a Ruby perché menta al pm. Ma: Ruby può essere considerata “chiamata” (come richiede la norma) dal pm? Dipende. Secondo la Cassazione no; “chiamata” vuol dire “che è stata chiamata”, dunque participio passato del verbo chiamare; e la Procura ancora non ha “chiamato” Ruby. Offrire soldi a chi ancora non è stato “chiamato” non è reato. Così dice la Cassazione. Ma, se la parola “chiamata” viene interpretata come complemento predicativo del soggetto, utilizzato per evidenziare una sua qualità (vedete che l’interpretazione della legge è una cosa complicata), allora le conseguenze sarebbero che, se Ruby non venisse mai “chiamata”, non ci sarebbe il reato; ma, nel momento in cui la chiamano e dunque diventa “chiamata” (complemento predicativo e non participio passato), allora quella promessa di soldi, penalmente irrilevante fino ad allora, diventa reato. Vedremo come la penserà sul punto la Procura di Milano. Magari è un po’ meno comunista di come pensa B. e si atterrà al parere della Cassazione.

Ma, su questo punto, i guai di B. non sono finiti. Perché, a un certo punto, Ruby sarà certamente chiamata a testimoniare; e magari dirà il falso. Invece di raccontare tutto quello che ha già raccontato alle sue amiche e colleghe nel corso delle telefonate intercettate, dirà quello che ha concordato con B. (presenza a qualche festa, mai atti sessuali, lui non sapeva che avevo 17 anni, anzi 16 come quando sono andata da lui la prima volta etc). E, per dire questo, sappiamo che è stata pagata. Quando e se mentirà, commetterà il reato di cui agli artt. 371 bis o 372, a seconda che menta al pm o al giudice. Pene previste: fino a 4 o 6 anni di reclusione. Magari a lei importa poco, 5 milioni sono 5 milioni, tanti Ruby ne ha chiesti a B. per mentire. E poi vuoi mettere la possibilità di ricattare B. vita (quella di B.) natural durante?

Il problema però è che l’art. 110 del codice penale dice: “Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”. Che vuol dire “concorrono” (ancora l’interpretazione della legge)? Questo lo sanno tutti gli studenti di legge del primo anno: vuol dire, anche, concorso morale, cioè convincere taluno a commettere un reato o rafforzare il suo proposito di commetterlo. Per esempio, il marito che vuole uccidere la moglie e paga il killer perché l’ammazzi “concorre” nel delitto di omicidio. Così, quando Ruby mentirà (se mentirà), anche B. sarà considerato colpevole del delitto di falsa testimonianza: è lui che ha convinto Ruby a mentire, pagandola. E sarà condannato anche lui.

MA I SUOI GUAI non sono mica finiti. Sembra che ci sia una ragazza che ha raccontato, sempre al telefono (capito perché a B. le intercettazioni stanno sullo stomaco?): “Berlusconi ha insistito, io non volevo, ho cercato di respingerlo. Gli ho detto di no ma non ce l’ho fatta e sono stata costretta a subire qualcosa che non avrei voluto fare”. In cosa sia consistito questo qualcosa ancora non si sa. Però il problema è che l’art. 609 bis del codice penale dice: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. Ancora un problema interpretativo; cosa si intende per “atti sessuali”? Come al solito, Cassazione: “La nozione di ‘atti sessuali’ comprende tutti quegli atti che esprimono l'impulso sessuale dell'agente e che comportano una invasione della sfera sessuale del soggetto passivo, inclusi, pertanto, i toccamenti, i palpeggiamenti e gli sfregamenti sulle parti intime della vittima, tali da suscitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e per un tempo di breve durata”. Insomma , qualsiasi cosa le abbia fatto B. (o le abbia fatto fare da qualcun altro, vi ricordate l’art. 110?), il rischio che si finisca nell’ipotesi dell’art. 609 bis è alto. Facendo un po’ di conti, tra tutti i reati che B. avrebbe commesso (sempre che si provino ma sembra che siamo sulla buona strada) una quindicina d’anni gli toccherebbero. Sarà la volta che buttiamo via la chiave?

2 commenti:

L'angolo di raffaella ha detto...

incrociamo le dita!!!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

L'interpretazione della legge, in questo caso penale, è davvero complessa, tanto che lo stesso autore (Bruno Tinti) la dichiara complessa, ed egli è un divulgatore. Certo è che quell'uomo è un demonio, ha tanti soldi da poter 'arruolare' i migliori specialisti sia di diritto penale e processuale penale che costituzionale, per architettare, come pare stiano già facendo, un marchingegno per spostare la competenza al Tribunale dei Ministri, dopodiché l'unica è di sollevare conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato (giudiziario e legislativo) per verificare la costituzionalità di tale operazione. Significa almeno una anno e mezzo.