L’alto magistrato ha querelato l’ex pm dopo la cena con B.
di Antonella Mascali
Tra i giudici della Corte costituzionale che la settimana prossima devono esprimersi non solo sul legittimo impedimento “ad premier e ministri”, ma anche (tra gli altri) sul referendum abrogativo della stessa legge, promosso da Italia dei Valori, ce n’è uno che Antonio Di Pietro reputa in conflitto di interessi anche per una causa civile contro di lui. È Paolo Maria Napolitano, lo stesso membro della Consulta che partecipò alla cena, organizzata dal collega Luigi Mazzella, in onore di Silvio Berlusconi, nel maggio
NAPOLITANO ha denunciato Di Pietro perché si ritiene gravemente offeso da uno scritto del senatore sul suo blog, a proposito proprio di quella cena e di alcune dichiarazioni dello stesso giudice, seguite alla notizia del banchetto che doveva rimanere segreto. Leggiamo dall’atto di citazione: “La conclusione del ‘pezzo’ sta a tutto l’articolo come i fuochi finali in una sparata di ferragosto: “Signor Napolitano lei ha avvilito, con una cena carbonara, la dignità dei suoi colleghi e oggi mostra inadeguatezza e parzialità”. E poche righe più sopra, Di Pietro esprime il medesimo concetto affermando che “certi mestieri sarebbe meglio ricoprirli più per merito che per riconoscenza verso terzi”. Napolitano (ex stretto collaboratore di Fini, a Palazzo Chigi e alla Farnesina) in risposta, ricorda che fu eletto dal Parlamento nel luglio 2006 al primo scrutinio con una maggioranza superiore ai due terzi necessari per legge, “quando presidente del Consiglio era Romano Prodi (ma su indicazione del centrodestra, ndr); scrive di aver sempre pensato che l’opinione dissenziente di un giudice costituzionale, rispetto a una sentenza presa a maggioranza, dovrebbe essere pubblica. Sostiene che il suo auspicio perché venga introdotta questa regola, espresso dopo la bocciatura del lodo Alfano, nulla aveva a che vedere (contrariamente a quanto affermato da Di Pietro) con un messaggio all’esterno sul suo voto nel segreto della camera di consiglio. Pertanto, secondo Napolitano, l’articolo è “ingiurioso, diffamatorio, del tutto ingiustificato”. Il giudice si rimette per la quantificazione del danno al Tribunale civile di Roma ma una cifra comunque la propone: 500 mila euro. Di Pietro respinge l’accusa di averlo diffamato e rivendica quella che ritiene una sua opinione legittima: “Credo che sia un mio diritto-dovere di parlamentare e di cittadino esprimere una critica rispetto a un componente della Consulta che, nonostante debba giudicare nella sostanza una legge che riguarda solo il presidente del Consiglio, ci va a cena”.
IL LEADER DI IDV resta convinto che Napolitano avrebbe dovuto astenersi sul lodo Alfano così come dovrebbe farlo settimana prossima sul legittimo impedimento: “ È una questione di opportunità perché un giudice non deve essere solo terzo e indipendente, ma deve apparire tale. Non lo appare chi ha rapporti amicali con colui che è coinvolto in una sua decisione. E il lodo Alfano, come il legittimo impedimento, riguarda il presidente del Consiglio”.
Per par condicio, seguendo il suo ragionamento, dovrebbe astenersi anche il giudice Mazzella, l’ospite della cena. “A mio avviso sì. Ripeto è una questione di opportunità, perché sulla loro indipendenza concreta non mi esprimo di certo. In più, a differenza di Mazzella, Napolitano ha trasformato le critiche di un parlamentare in una questione personale, promuovendo una causa civile”.
Quindi doppio motivo, secondo Di Pietro, per l’astensione di Napolitano: di “opportunità e di legittimità”. Ma nessuna istanza alla Consulta: “Pur avendone titolo come presidente del comitato referendario sul legittimo impedimento, non presenterò una richiesta formale di astensione o ricusazione alla Corte costituzionale, per il rispetto istituzionale che nutro nei suoi confronti e verso la funzione dello stesso giudice Napolitano. Tuttavia auspico che si astenga, o che ponga in essere degli atti tali da rassicurare sulla serenità del suo giudizio. La contraddizione in termini è sotto gli occhi di tutti. Deve decidere anche sull’ammissibilità del referendum sul legittimo impedimento, promosso da un partito, Italia dei Valori, il cui capo egli stesso ha denunciato. Ma ribadisco comunque di avere fiducia nella Consulta e ritengo inoltre ineccepibili i quesiti referendari”.
NELL’ESTATE 2009, per lo scandalo della cena, il partito democratico chiese l’astensione di Mazzella e Napolitano e Di Pietro le dimissioni. I due giudici costituzionali, si sa, non fecero un passo indietro. Anzi. Mazzella scrisse una lettera pubblica al suo “amico Silvio” e Napolitano parlò di “tentativo di condizionare
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