Nei giorni scorsi abbiamo pianto un altro militare italiano ucciso in Afghanistan e noi siamo vicini, come sempre, ai suoi famigliari e a tutti i soldati impegnati in quei territori. Il problema, a questo punto, è domandarsi cosa ci stiano a fare i nostri militari in quel martoriato territorio e se sia costituzionalmente giustificata e politicamente utile la nostra presenza. In realtà l’operazione cosiddetta di “mantenimento della pace” ha portato per ora soltanto morte e distruzione. La verità è che il nostro Paese vede morire i suoi militari e ingigantirsi le spese per una missione che può definirsi in ogni modo ma non di pace.
Nel 2010 i costi per il mantenimento della guerra italiana in Afghanistan, 4mila soldati con annessi e connessi, è stato di quasi un miliardo. E continua così, in costante aumento, appunto dal 2001. E mentre i tagli lineari del governo drenano risorse in tutti i comparti, gli investimenti nel settore militare sono sempre all’ordine del giorno. Poco tempo fa, si discuteva addirittura se non fosse necessario un nuovo tipo di cacciabombardieri: 130 nuovi caccia, 15 miliardi circa. Un po’ troppo per uno Stato che ripudia la guerra come sancisce la nostra Costituzione.
Invece, in un modo completamente anticostituzionale, i nostri soldati vengono mandati a morire con i fondi per l’addestramento tagliati, in un territorio tutt’altro che pacificato, ma con dei caccia nuovi e luccicanti. Il tutto per dare la possibilità al camerata ministro per la guerra
Intanto, qui in Italia, tutto il resto è miseria: abbiamo visto per le strade delle nostre città, negli scorsi mesi, ogni tipo di classe sociale e professionale manifestare il disagio economico e lavorativo nel quale versa. Hanno manifestato gli studenti, i lavoratori precari di università, cultura, spettacolo, le forze di polizia, il mondo dell’agricoltura, i terremotati dell’Aquila, i cittadini della Campania, chi ha vinto un concorso e poi non è stato assunto. E l’elenco può continuare.
La scorsa estate, il Parlamento ha votato il rifinanziamento della missione italiana: aumento del contingente, aumento delle spese, aumento di tutto. A votare contro, soltanto i gruppi alla Camera e al Senato di Italia dei Valori, e qualche parlamentare sparso. Ciò che più stride, con le dichiarazioni del governo, è un dato spesso ignorato: la spesa destinata alle iniziative di cooperazione, ricostruzione e assistenza sanitaria è stata, per il 2010, di 18 milioni di euro. Un po’ poco, se si vuole farla passare per “missione di pace” soprattutto se paragonato al miliardo di euro che spendiamo per la guerra. In linea, purtroppo, con le politiche di questo governo in campo umanitario: in piena contraddizione con le direttive dell’Unione Europea, l’Italia destina infatti alla cooperazione internazionale solo lo 0,12% del suo Pil, non ha intenzione di aumentarlo e anzi, si impegna ogni anno a diminuirlo.
Non solo: negli scorsi mesi, il governo si è allontanato ancora di più, nei fatti, dalle parole di pace con cui ammanta le missioni di guerra: il taglio del 5 per mille, che andava a vantaggio delle associazioni che si occupano realmente di cooperazione allo sviluppo, ne è un esempio. E così, gli obiettivi del millennio sono sempre più lontani (0,7% del Pil dedicato alla cooperazione), la società civile rimane inascoltata, le spese folli in campo militare obbligano a tagli in tutti gli altri settori, mentre la disoccupazione avanza. Per questo, alla riapertura dei lavori parlamentari, presenterò alla Camera una mozione in Aula per ridiscutere la nostra presenza in Afghanistan e nelle cosiddette missioni di pace.
venerdì 7 gennaio 2011
Governo di guerra
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